Elisabetta Destasio, Facciamo così

Facciamo così,
metto un coltello
al posto della penna.
Poi arriva mattina:
sotto la luce non si smuovono
le ombre che la notte
si ostina a mettermi in braccio.
Esistere solo per
la vertigine, le braccia livide
le vene che si rompono
lo sguardo
compassionevole dell’infermiere che si concentra sull’ultimo tentativo per la flebo.
E intanto il tempo
diventa una lama
senza inchiostro,
sempre più sottile.

Cosa è stato,
cos’era quel piacere che mi batteva in testa,
mentre tutto fuori
sembrava arrestarsi – non esistere fuori dal tempo
dell’unione di due corpi?

Non lo ricordo:
c’è caduto sopra un secolo e mezzo di assenze,
e la certezza di essere di troppo, in un luogo che è
questa vita – come una vite
ammalata.
Gli altri respirano, tu soffochi
in attesa che sia concesso, vostro onore la Morte, un qualche finale meno tragico di tutta questa bestia
che mi divora
[di tutto l’amore che ho dato
senza averne un briciolo di ritorno: silenzio].

Ho dimorato anche io,
sola,
in estranee cose.

(Inedito)

Elisabetta Destasio, La resina troncale

la resina troncale
dal larice
suda per dare voce
ai morti

tu, di ordinaria assenza
ricami uno sguardo
sul sentirti venire

il tentativo cade a goccia
sopra al fiorire inerme di pervinca
viola notte,

immobile: il vuoto.

(Inedito)

Elisabetta Destasio, Cos’è questo plumbeo del cielo

Cos’è questo plumbeo del cielo
se non l’arco teso
per finire la battaglia
e poi deporre ogni arma
arrendersi, stendersi a terra –
accoppiarsi come le gazze – ovunque,
non fare nessun nodo, nessun nido –
godere appieno, essere leggiadri e senza morte
essere finestra, lago, spazio, prato
liberi di dire:
ecco, senti come ti lavo dalla bocca alla cresta iliaca –
senti ancora esplodere primavera.

(Inedito)

Elisabetta Destasio, Se poggio la bocca

se poggio la bocca
su quest’assenza
lecco il tuo nome

bianco seme tuo

bianco vento,
mio fienile, bosco,
bocca di minotauro
bianco fragile
pianta di loto

bianco il tempo
della tua attesa,
fiato mio.

 

(Inedito)

Elisabetta Destasio, Mi consegno allo spazio siderale

mi consegno allo spazio siderale
ti consacro costellazione
così potrò pensarti
a guardarmi

lucente come sei, senza che tu mi possa toccare –
mi faccio vento kaskasi da nord, nord est a spostare il dolore dell’argine in piena,
letto arso di sudore
e ricordo e casa
ti faccio parola pallottola – quella che mi ha presa al centro del petto,
mi si è infilata tra le cosce

e che continua a vagarmi dentro – sublimazione e eclissi
storia di un vuoto
il mio, certo
io che vivo in questa città e ti faccio sua scapola e rene – mia clavicola, mio labbro
di pace e assenza:
tua, senza tempo, io.

(Inedito)