Gabriel Del Sarto, Derivati

Le parole sono solo dei derivati. Un vento
come questo sogno di un vento
teso sulla seta che ci sovrasta: dici questo
e ancora muori, ancora dirai
sono prigioniero. Ecco
quello che i miei occhi vedono
nel lento salire delle messe
festive: come rende il giorno del Signore
la luce del sole sulle scale di marmo,
nel chiaro del tempio, non i volti.
La profezia racconta di un seme sospeso
nel buio dell’aria. Le notti tutte
dentro l’aria, il passo del lupo,
il resto di cui ci facciamo garanti
e ancora l’aria dentro le parole e le parole
che nascono dagli occhi – il compimento
del senso.
Prima questa condanna: vedere
senza mai germogliare. Come quando
ogni città consuma se stessa
in cerca di eroi e pensi bello dire
che l’occidente è libertà, e la libertà
corrisponde al desiderio.

 

(Da Il grande innocente, Nino Aragno Editore 2017)

Gabriel Del Sarto, La vita che aspira ad affermare

La vita che aspira ad affermare
l’intensità, anche a metà dell’inverno,
di una morte accettata spontaneamente,
come se la spontaneità fosse imparare
ad essere magnanimi, fare una ghirlanda di sé,
dei propri frammenti
recuperati dopo l’esplosione,
è la conclusione del disegno: poi lo sciogliersi
graduale e non scandalizzato dei nodi,
la separazione radicale, come accade
dentro uno sguardo dolce
e positivo, da ogni genere di violenza.
Adesso tutto, ogni paradosso e incertezza,
deborda
è sentito come un taglio. Abitiamo
senza casa.

 

(Da Il grande innocente, Nino Aragno Editore 2017)

Gabriel Del Sarto, Quell’uomo

Quell’uomo che cammina rasentando gli scaffali dell’ipermercato senza vedere chi, vicino e attorno a lui, vive gli stessi attimi, posso essere io: un venerdì sera d’inverno, col freddo fuori, la lista della spesa dentro un messaggio telegrafico nella memoria del telefono cellulare. E la fame di un lavoro fuori orario. Quell’uomo, nella frazione di tempo che lo separa dal prossimo atto compiuto per afferrare una confezione, potrebbe comprendere il significato delle distanze, le nude meccaniche di una solitudine. Un livello più profondo del dolore. È un attimo, però, che non coglie nel presente, circondato dalle luci e dai colori – oro, azzurro, toni solari – che emana il banco frigo, nel corridoio. L’occasione di quell’istante più denso, che forse a posteriori tornerà nella sua coscienza come il segno di un destino possibile, svanisce, perché quello che solleva e prende tutta la sua anima sono le forze del desiderio, percepito ad una quota superiore di possibilità. È questo che, subito dopo e ogni volta, genera in lui la privacy, le convenzioni urbane, una mente che si sposta da un’immagine all’altra, i dinieghi.

 

(Da Il grande innocente, Nino Aragno Editore 2017)