Annarita Zacchi, P.B.

L’uomo aveva un buco in fronte.
Proprio nel senso di un buco,
come aver portato via un pezzo,
un di più invece di un meno.
Non parlava, non a me
come dire a nessuno.

Rincasava a grandi passi
ci passava davanti,
gli scalini due alla volta
di corsa, uno che ha da fare.
Correva verso i libri, ho saputo
o al letto a una piazza dove
si stendeva con la donna
anche lei muta, si diceva
un grande amore.

Il resto della casa sopra
l’ho visto poco e come in sogno.
Dalla pietra rotta della terrazza
partiva una colomba, al volo
uno straccio teso al sole,
sul fuoco si scaldava
il caffè di lui, il mistero
col buco in fronte.

Che si affacciava nudo
dalla vita al balcone
due passi dal letto singolo
la palma emblema della casa
una sola casata,
prima della divisione.

Sotto, io vorticavo intorno
alle pretese del bosso
comparivo a metà pomeriggio
coincidevo con i risvegli estivi
mi fingevo come lui
stanca, fuggivo gli altri

mi sistemavo nell’angolo morto
dove da lassù non vedeva –
allo specchio rotto della vespa
coperta di rovi con un tappo
di sughero bruciato mi facevo
un buco in fronte.

 

(Da Voi e lo sparso, ChiPiùNeArt Edizioni 2015)