Andrea Garbin, Canto XXVI (per Riace e Domenico Lucano stando all’ipotesi di Moreno)

È nella natura dei mortali calpestare
ancora di più chi è caduto
(Eschilo)

Il potere si conquista soltanto
col soccorso delle masse e del denaro
(Sofocle)

Tideo:
Sporge il mio braccio nell’acqua salata
oltre la sabbia che il capo mi copre
ferito a morte alla porta di Preto.
Naufragato nelle acque di Riace
mi risvegliai in un tempo non più mio:
Troia caduta, la Grecia annientata,
Roma bruciata e i miei dei pensionati;
sono esposto nella terra dei Bruzi.
Privo di vita nel Mediterraneo
rimasi millenni mite nell’ombra
ed ora che sveglio intorno mi guardo
non vedo né tebe né la mia Argo,
vedo soltanto un ammasso di corpi
che nuota nell’acqua che mi circonda.

Anfiarao:
In Tebe fui sconfitto da lastene,
fuggito dalla porta di Omoloide
caddi nella fossa aperta da Zeus.
Mi risvegliai nei pressi di riace
non sapendo, nonostante il mio dono
di veggenza contrapposto a Tiresia,
che avrei attraversato nuovi mondi.
Etèocle e Polinice ormai defunti
la mia cara Erifile assassinata
e Antigone scomparsa dietro un muro.
Ahi! Più che ogni altra guerra questo borgo
mi pare votato a gravi ingiustizie.
triste sarebbe affossarne la sorte,
ma è ciò che bramano i vostri ministri!

Ministro dell’inferno:
Nacqui in quel di milano e mi gettai
tra le braccia di tedeschi e Menghacci
per impararla comunicazione
tramite i canali di Berlusconi
e per attinger denaro dall’alto.
Feci gavetta: da Bossi a Maroni,
dapprima in Comune, poi la Regione,
passando per Roma giunsi in Europa
dove lo scranno lasciai spesso vuoto,
ed or, seppur con bassa percentuale,
sfoggio la mia medaglia da Ministro!
Io venero Umberto: niente immigrati
e porti sbarrati. Meno di zero,
questo lucano deve esser raschiato!

Domenico Lucano:
Io, primo cittadino di Riace,
non posso esimermi da questa lotta
essendo questa terra in qualche modo
colpita da leggi che trasgrediscono
dettami incrollabili della vita,
così ripeto la mia violazione
della vostra legge iniqua e blasfema.
Sappiate! L’essere meno di zero
è avvicinarsi per me all’assoluto.
Il vostro governo è uno svantaggio
portato in casa ad ogni cittadino,
mentre il mio zero vale l’infinito.
il mio diritto alla rivoluzione
non può che essere una violazione.
Voi, alla mercé dello stato avete
messo le vite di chi vi subisce
impedendo l’approdo e l’accoglienza.
La mia disobbedienza è non-violenta.
Ahi! Voi adopertate la violenza
sopra il verbo e date peso al potere
oscurando la volontà dei molti.

Tideo:
Ora che sono libero da Adrasto,
dinanzi alle tre porte di Riace,
da lontano io che giungo portando
ciò che un tempo vidi nel vecchio mondo,
sapendo ciò che poi s’è realizzato,
osservo questa mite mescolanza
questo umano che pecca di splendore
sfidando chi fa sfoggio di potere
per ottener speranza e dignità,
e vedo ciò che un tempo non potè
mai realizzarsi a causa del potere.
Ahi! Che strana sorte avere risveglio
in questa terra nata da colui
che a troia sfidò Diomede mi sangue.

Anfiarao:
Ahi! Oggi il mio sogno deve guarire
le menti insane di questi governi,
ma potrebbe non esser sufficiente,
potrebbe volersi una grande purga
per tutte quante le liquide menti
che infestano la vostra società,
ed oggi che di Dante la condanna
al passo contrario mi avete rimosso
l’oro e l’argento dei vostri danari
potete tornare a farlo battere
sull’orlo della consacrata fonte
affinché vi possano le mie doti
elargire veggenze necessarie
a capire come vincer la legge.

Antigone:
Ecco! Due poteri in un solo trono:
non più Etèocle e Polinice sono,
ma Di Maio e Salvini i loro nomi,
figli non di re ma dell’ignoranza.
Nulla è mutato da quando io vissi
prima del muro che morta mi diede;
non più come allora il ritorno a tebe
bensì l’approdo per mare a Riace.
Io sostengo nel pieno questa lotta,
non quale violazione della legge,
io qui condanno i giudici e i mandanti
il popolo la massa i governanti
condanno tutti voi che già scordate,
e che per un mondo nuovo… non fate!

(da Canti di Confine, testo estratto dallo spettacolo L’uomo in piedi, una produzione del movimento dal sottosuolo)

Andrea Garbin, Canto III (Per Alda Merini)

Canto III (per Alda Merini)

Arriva l’alba e tu sei Rosaspina
ape regina dei disabitati
come di gallo un canto dalla terra
evaporante a risvegliare il mondo
fuggita sei da quella dimensione
dove ti attendono d’amore abbracci
dai tuoi più grandi simili poeti
dove sarai amata come donna
e dove gli occhi tuoi potranno vivere
della dolcezza che da sempre emani.

Ti ricordai nella nebbia padana
le poche volte chino ad ascoltarti
così vederti con Giovanni danzare
e quegli sfruttatori a cui gridavi
e con ricchezza ai giovani gioire
ti rivedrò forse ancora passare
il fuoco rosso tra le labbra bianche
e del poeta la delicatezza
fai sul tabacco ingiallito la borsa
che scaturita di oggetti sul banco
si piega rauca offerta e leva ellissi.

Vano è calpestare l’ape furiosa
che nel morire dei Navigli preme
il desiderio dei pazzi normali
per una rosa questo tuo di Cristo
amore nasce caduta offertasi
marmogrembo d’una canzone triste
in libertà di sguardo alla tristezza
scampassi fin quando la morte affiora
in labbro, è la pausa a chiamare
l’infinito che guadagni “palmo a palmo”.

(Da Canti di confine e altre poesie, Edizioni Pellicano 2016)