Adriano Cataldo, Un tempo era la pagina bianca

Un tempo era la pagina bianca.
Oggi, diverso il supporto, intatto l’abisso.
Presente ovunque,
il consentito è un dissentito dire.
Oggi è quarantena ovunque
e noi giochiamo e siam giocati
che è come dire “la condanna d’esser nati”.
Oggi siamo gettati ovunque,
e ci sorprende quanto abisso
porti in dono ognuno
per non esser stato cittadino.
Oggi si guarda,
mentre dorme quello spirito guerriero
che dentro è ruggine.

 

(Inedito)

Guglielmo Aprile, Emblema

La città è un emblema, questi corpi senza numero
così presi
a rimestare nella segatura,
a raccattare dalle intercapedini
una per una schegge di unghie e briciole,
a sfilare rimasugli di uccelli
impigliati tra le pale dell’elica,
a tracciare sulla sabbia volubile
una striscia di gesso che va a infrangersi
ai piedi del solito muro giallo.
Il macchinista deve aver bevuto,
il treno corre a caso,
senza una direzione, non farà
tappa in questa né in qualunque altra città,
non è diretto da nessuna parte.

 

(Da Farsi amica la Notte, Ladolfi Editore 2020)

Alessio Barettini, Ci amavamo strenuamente con il dolore della totalità

Ci amavamo strenuamente con il dolore della totalità,
rubandoci le vie di mezzo e le incompletezze necessarie,
la dolcezza dei ¾ e dei 4/5 che altrimenti non ci saremmo mai concessi.
E guardavo nel buco di noi
aspettando sempre per vederti arrivare
ma tu poi là no, non eri, non eri me, non eri per me,
e io vivevo di attese illusorie
che sempre riportavano a te
che tornavo, sempre, io, così.
Ma ero anche
inesorabilmente
solo
e senza parole
solo
perché senza parole

Massimiliano Geraci, Sii per me

Sii per me
volto che affiora da ogni volto
all’alba
su tutto il verde
placato
sii adesso il primo giorno trasparente
dilavato
sii per me un paio d’anni ancora
e qualche passo
la rotazione lenta d’ogni attimo
luce che scolora
un altro battito

 

(Inedito)

Stefano Vitale, Ma a che serve ricordare?

Ma a che serve ricordare?
La questione è sapere
esattamente cosa fare, adesso.
Così troviamo il tempo
per attraversare la strada
e comprare un mazzo di rose,
per la lampadina da cambiare
la lettera da spedire
la spazzatura da gettare.
Come vedi c’è sempre
qualcos’altro da fare
perché niente che ci rassomiglia
va lasciato andare

 

(Da Incerto confine, disegnodiverso Edizioni 2019)

Vittoriano Masciullo, ultima preghiera nel tempio di asakusa

ultima preghiera nel tempio di asakusa
so per chi cosa devi
piove rientri così scrivi
ma col tempo sai anche
questi senza fine giorni
irripetibili più feroci delle spine
infragiliti dalla tosse
col tempo sai la morsa del palmo
in silenzio formicolio che non si
più al buio di quella
delle analisi sangue o
linfa da parte terrei ti servisse
ma cresciuta non più libera
dalla luce suicida
col tempo sai
(vicino i fiori galleggiano
presto verso il bianco
che qui è l’addio)

 

(Da Dicembre dall’alto, L’arcolaio 2018)

Sergio Rotino, a black box

chi ti riposa parallelo al fianco
in quella posizione che vuota dovrebbe stare
sarà l’ammanco dell’erede
così leggero da non intaccare l’imperfetta piega delle lenzuola
oltre il bianco tubicino addominale
da cui si inizia a svuotare il principio della terra
credendo ancora quanto basta al ferro della ragione
mentre tutta intera la sua massa prende forma e
tracima da guerra in distruzione

 

(Inedito)

Emiliano Michelini, Punta e lingua di fuoco

Punta e lingua di fuoco! un’impetuosa
luce avanza dentro i boschi d’insonnia,
sola sopra gli organi, è la rosa –
parola che sparge sollievo e sogna

tremiti alfabeti dove ora brilla
il silicio di prima; lallazione
del giorno ansioso che brucia e favilla
sulla fronte dei morti; qui, il tifone

cardiaco, la dea della discordia,
l’oscura corte, conato d’argento
chiaro all’altro fiato delle strofe,

se la parola appagante resiste
nel cerchi dei puri contagi ai bordi
taglienti d’un foglio che abito a stento

 

(Inedito)

Claudia Sogno, La mia maestra è un’albera

La mia maestra è un’albera
e il suo nido
un pane che lievita
un fuoco nell’aria.
È una fontana di luci sottili
con la pelle secca e i nodi alle mani
piene di strigoli
raccolti al gran posto,
il più segreto del boscovecchio.

È un fazzoletto, la mia maestra,
con un elicriso appena accennato-
che risalendo per gli alberi canta
al ramo potato di un nuovo fiore;

ma quando s’inchina davanti alle fragole
allarga il silenzio con piccoli gesti
fino a sentire il loro respiro.

La mia maestra nel viso è un bambino,
che chiede alla mostra di un Caravaggio
per farne dono all’unica figlia-
e te lo dice con le ossa cave
schermendosi dietro alla brezza sottile
che ha solo un sorriso quando magenta.

La mia maestra ha due gocce azzurre
prima degli occhi, e come un miracolo
sono discese dai pettazzurri,
con le mani di rondine,
sopra il capanno.

 

(Inedito)

Michele Paoletti, Fissavo una briciola di terra

Fissavo una briciola di terra
in bilico sull’orlo del lenzuolo.
Un piccolo rotondo promemoria
che mi rammenta come va a finire.

 

(Da Breve inventario di un’assenza, Samuele Editore 2017)