Francesco Scapecchi, Adieu lonhtemps

Di’ addio ai tuoi giorni di ragazza
saluta il mondo:
la splendida solidità del quarzo
netto e brillante del suo sfarzo
si frantuma
in mille scomposti cristalli.
Dì addio ai giorni femminili tuoi
di bambola
al trucco, la cipria ed il rossetto
con cui disintegravi nello specchio.
Crescono teorie
alle quali imparentarsi e conformarsi.
Dì addio ai giorni d’intuizione
de l’infinita vanità del tutto
vissuta come un gioco, come un dono.
Saranno dei giorni il perdono,
seri doveri e le spiegazioni
dei semi e dei frutti delle azioni.
Preparati di presso
a perforare veli
scavare tane e squarci
nella trama che ti hanno detto
esiste.

(Inedito)

Sam Hamill, Sheepherder Coffee

I used to like sheepherder coffee,
a cup of grounds in my old enameled pot,
then three cups of water and a fire,
and when it’s hot, boiling into froth,
a half cup of cold water
to bring the grounds to the bottom.
It was strong and bitter and good
as I squatted on the riverbank,
under the great redwoods, all those years ago.
Some days, it was nearly all I got.
I was happy with my dog,
and cases of books in my funky truck.
But when I think of that posture now,
I can’t help but think
of Palestinians huddled in their ruins,
the Afghani shepherd with his bleating goats,
the widow weeping, sending off her sons,
the Tibetan monk who can’t go home.
There are fewer names for coffee
than for love. Squatting, they drink,
thinking, waiting for whatever comes.

*

Il caffè del pastore

Il caffè del pastore una volta mi piaceva
i fondi nella mia tazza smaltata,
poi tre tazze d’acqua e un fuoco,
e quando è calda, che bolle e fa la schiuma,
mezza tazza di acqua fredda
perché i fondi se ne stiano giù.
Era forte e amaro e buono
mentre me ne stavo accovacciato sulla riva del fiume,
sotto le grandi sequoie, tanti anni fa.
Certi giorni, non prendevo quasi altro.
Ero felice con il mio cane,
e le scatole di libri nel mio furgoncino ammaccato.
Ma adesso, quando penso a quella posizione,
non posso non pensare
ai palestinesi accovacciati tra le rovine,
ai pastori afghani con le capre belanti,
alla vedova che piange mentre i figli partono per la guerra,
al monaco tibetano che non può tornare a casa.
Per il caffè esistono meno nomi
che per l’amore. Accovacciati bevono,
pensando, aspettando qualunque cosa arrivi.


(Da NOT IN OUR NAME! Poeti statunitensi contro la guerra Vol. II, a cura di Pina Piccolo, exosphere plaquettes / Libro Aperto Edizioni 2013)

Marco Amore, Calembour

Prescelto dal sogno, ti vedo ruzzolare nel fango della lizza;
lo stendardo piegato, reciso da un colpo di lancia
mentre muore inerme sulla fronte
Come una triste epigrafe d’argilla
si sgretola ai raggi della noia
spiando il sole liturgico,
ammanetti le gioie sulla leggenda più falsa
alla maniera degli artisti
Non per scolpire il marmo con le gesta
in onore dell’unificazione a fin di bene,
sperperando un mondo altrui
dove i cibi saziano vendette
attuate alla luce dell’inganno,
ma per il piatto pronto col fiorito di menta
e l’ossatura chiassosa in cassoulet

(Da Farràgine, Samuele Editore 2019)

Massimo Del Prete, Finché questa suona

Dos gardenias para ti
con ellas quiero decir…


Non sgomentarti per il conto fuggiasco delle ore
resistere piuttosto (anche tu devi, anche tu
coi tuoi anni freschissimi) – essere qui
esserci sempre io e te, all’anticamera del vespro
sorridere alle macchie di sole che tracimano
dai tetti – vedi quella? sarà casa mia –
questo solo ti chiedo.
E se lo fai potremo starcene per sempre
qui, a guardare le lente processioni
di cani e di famiglie, ad alternare
birra e spritz sul conto dell’estate.
E se lo fai, il tempo passerà come
passano i vecchi mali, com’è
l’oggi quando il filo della vita
e della morte s’è allentato
e nessuna Moira lo taglierà.

(Da Abitare la parola. Poeti nati negli Anni Novanta, a cura di Eleonora Rimolo e Giovanni Ibello, Giuliano Ladolfi Editore 2019)

Paolo Agrati, Il pubblico è sgarbato

Il pubblico è sgarbato, durante i passaggi pericolosi
chiude gli occhi. Li tiene serrati quando dall’alto
per stupirlo sfiori la morte dal trapezio. Per lasciare
il vostro circo e comporre il mio strazio, ho scelto il volo.
Con la catena sganciata dal costume di scena.
Spalancheranno gli occhi per guardare nel mio cielo.

(Da Partiture per un addio, Edicola Editore 2022)

Michele Bordoni, È nel nero dei passi fra le calli

È nel nero dei passi fra le calli
che ti ritrovo, amore, irraggiungibile sorella
e mi confonde il tuo volto, la postura,
il sangue che è il mio sangue e la tua voce,
l’oltremondo che s’apre sulle labbra
rosse della sera.
Potessi accarezzarti il sesso, l’anima
mi mormora un chiarore di gabbiano che intuisce,
che sa con esattezza quanto pesa
il corpo e la sua legge
e questa solitudine di mare
umida, disperata:
avvicinarti piano, non sfiorandoti
che con la punta delle dita, dolce,
e ricomporre il tuo profilo verticale.
Ma amore non è questa emorragia
che lascia esangue, intimiditi. È nell’attesa
comune delle cose che la cura
si fa altro, legame e precisione
con cui potersi dire veramente.
Non fecondare – attendere, ascoltare
È questo amore, rimanere immobili.
Fermi, come i leoni alle bandiere,
come le gondole ai pontili,
mandibole che masticano buio.

(Da Gymnopedie, Italic 2018)

Francesco Forlani, Perché il giornalista chiede al poeta da dove gli venga l’ispirazione

E ricordo. La sfida dei campi – corri!
e la canzone per l’amica – i primi pianti
come un riverbero della prima infanzia
l’amore dei fratelli ha un nome in comune
un segno d’istinto e senso d’immune presenza

E ricordo. Il pomeriggio breve della spiaggia
la luce come si deve e la sabbia – di Scauri
come pellicola d’istanti, linee di corpi muti
l’amore dei fratelli ha la terra in comune
un’orma resistente al vento e all’acqua, rabbia

E ricordi. Il filo di voce, il coro – guarda!
Dividersi il banco della chiesa – di sant’Antonio
come una banda, tra i pensieri accesi al cero
e senza i fratelli non c’è cielo comune
tenersi la mano ed una volta tanto in pace andare

Con i ricordi

(Da Il peso del Ciao, L’arcolaio 2012)

Francesco Buco, Eros & Thanatos

Il sesso l’ho scoperto in VHS
nel lato oscuro di una vecchia videoteca:
in bilico – fra titoli e scaffali –
laggiù, dove un velo di Maya
separava la famiglia Cuore
da un mondo fatto solo per adulti
pieno di outsiders.
In quel via vai di passi a luci rosse
tra pulviscoli di ciniglia,
sbirciavo minorenne per sfatare
l’iniziazione hard, la venatura sexy
dei pensieri. Mio padre, più concreto,
valicava lo Stargate
riaffiorando disinvolto e inalterato
con in mano il talloncino del noleggio.
Mentre fuori l’orizzonte brulicava
d’imminenti cataclismi:
pay-tv, dvd e famelici streaming…
ignaro e sopraffatto,
sotto il poster di Troisi,
fu all’ora X di un Venerdì 13
la prima volta che uccisi mio padre.

(Inedito)

Valentina Casadei, Nella sosta scarna

Nella sosta scarna
la polvere creava miracolose presenze
la cena fredda gridava il tuo nome
portavi via con te l’abitudine della sera
quando un bacio diventa tempo
e un rassicurante destino
prima di andare a dormire
preferendo al sonno
una veglia feroce
in cui il miraggio del tuo arrivo
è solo l’aria di una silhouette che trema
un minuscolo incendio fatale

(Inedito)

Pasquale Vitagliano, Chi l’avrebbe mai detto

Chi l’avrebbe mai detto
Che due bottoni nutrano più di due cucchiai
Che il fuoco la legna le fiamme siano riuscite a passare
Per due crune due gocce di aghi piantati in terra
Che ti sei tolto le dita dagli occhi ecco due confetti
Due scarpe comode in un corpo certo che sa di prodigio
Una mano sull’altra in quello che sembra un gioco
Incrociate ad ammirare che i soli sono diventati due sulla
grazia
Che è il frattale di tutte le vite che mi sono passate davanti.

(Da Apprendistato alla salvezza, Interno Libri 2022)