Paolo Ruffilli, Il mai più

Il termine ridotto
all’incredibile, con
tutti i suoi
sospesi, rimorsi
e sottintesi. Un
punto fermo al
resto che si muove,
pensato e ripetuto
pronunciato
come dato impossibile:
“Mai più”.
Per ciò
che si poteva
e che non fu.

 

(Da Les choses du monde / Le cose del mondo, traduzioni a cura di Patrice Dyerval Angelini, Bernard Simeone, Chiara De Luca e Lorand Gaspar L’Arbre à paroles 2007)

Paolo Ruffilli, Nell’abito di organza

(Nell’abito di organza
traforato,
sta in posa
su di un piccolo divano.
Un braccio è
abbandonato
sul punto di cadere.
Sostiene il mento
con la mano.
Sotto la frangia,
fissa in lontananza
gli occhi neri.)

Presto invecchiata
dal mestiere,
sulla sedia in ombra
nella stanza,
tenendo tutto il giorno
il suo cappello,
cantava piano, senza
più sapere cosa,
lo stesso ritornello:
“il falchetto cacciavento
piomba a terra
in un momento”.
Astro, folgore, cometa,
freccia d’argento.
Anche la traccia
luminosa…
è tutto spento.

 

(Da Camera Oscura, Garzanti 1992)

Paolo Ruffilli, La parola per me

La parola, per me,
veniva da distante.
Un a priori, quasi,
l’avvertivo. Un eccitante.
In un processo in
qualche modo inverso.
Nel darle per riscontro
una realtà che invece,
più toccata e presa, più
sfuggiva inconsistente
ai cinque sensi.
Con l’effetto di essere
lanciata contro un corpo
pronunciato e, nel
suo dirlo, di colpo
riafferrato.

 

(Da Piccola Colazione, Garzanti Editore 1987)