Sto lontano da chi ride sempre
per non finire tra i leoncini
che tiene nelle fossette.
Caparezza, Habemus Capa
I
Il cartello crea il ricordo che non legge nessuno
e lo regge solo un deserto colorato dal vetro
vi reclama il presente che si manifesta
come sistema attivo di puntini ottici
ti conta i passi sulla scacchiera e non t’appartiene
avanti l’aiuola del giardino vicino dove
una pomata mantiene lontano il sole
e si unge di luce alla fretta aperta sulle offerte.
II
Questo bianconero sbiadito dona ancora colore al
[ passato
un volto fermo sulla statura affogato sotto la calura
[ sintetica,
maschere riportano l’ordine ai magazzini piazzati
[ sulla via
dove un tempo il nome era un pegno sopra una
[ parola forte
senza l’inganno del suono che era un segno fedele
[ sulla pietra.
III
Sono troppi i nodi che non sappiamo cogliere
il piazzista riga il percorso alle nostre chiome
con la sacralità approvata dai riti ingiudicati,
perché tutto è solo movimento d’un loro gesto
di un pensiero adottato sugli slogan quotidiani,
dove diventa aggressiva e si sfibra persino la pace.
Il rinfaccio del balcone all’assenza del mestiere
ci conta che stanno lavorando per noi che abbiamo
cartellini lisi da strisciare lungo i provvisori giorni.
IV
Rannicchiato in un ristagno ordinario
tra gli ascolti scontati che si sgolano
sorvolo con i palmi le offerte fedeli
sul punto dove affoghiamo a voce bassa
il gracidare ossessivo delle loro campagne
gioca sempre con le falle delle onde alte
per legarsi ai consensi delle imposizioni.
(Da L’ufficio del personale, Edizioni La Vita Felice 2014)
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