Il polline si raduna negli angoli del terrazzo, ma noi non sappiamo dei notturni
e del vento che trasporta e feconda, della clessidra sotto cui scorrono le mani.
Raccogliamo all’alba il frutto, ne assaggiamo la sua diaspora senza sapere
delle trasformazioni silenziose. Ogni storia racchiude nei suoi specchi una memoria,
la mia Atlantide che ritrovo nel vasto mare dei tuoi sogni è una terra che risplende
fra il documentario e il mito. Per tutta la notte ti ho cercato perché hai pianto,
so che stai piangendo perché ti vedo, basta guardarmi nello specchio
per comprendere che hai pianto, proprio ora che inizia la mobilitazione
di ragione e forza, giustificare il nuovo ordine, comprenderlo o forse viverlo,
esserne il cambiamento? Ecco la prima domanda. Spingere il mondo
fin sulle vette per lasciarlo rotolare esausti, nel disordine, nell’incertezza,
accettare l’imprevisto come condizione, proteggersi nella marginalità
o ricercare l’applauso, osservare il paesaggio, immergersi, andare alla conquista,
rispondere: essere la chiamata stessa, o meglio scegliere il legame o la separazione?
Il risveglio è contraddizione, affermazioni del mondo che iniziano a bussare
alle porte del sonno. Forse per questo l’uomo preferisce dormire
anche quando è sveglio? Il sonno è dimenticanza, il tuo corpo, i suoi primi
movimenti, il suo distacco dall’oblio, sono una conquista quotidiana,
lontani ancora da quell’essere titubanti fra giudizio e preghiera, eroi dell’impegno
o maestri del ritiro, lontani anche dall’essere insoddisfatti, esitanti e indecisi,
a volte, indifesi, mai felici, eppure, vivi, innumerevoli voci che esultano,
soffocano, balbettano, resistono nell’ombra, dimenticando,
raramente ritrovando il paesaggio che lega i personaggi dentro un quadro,
questa musica eterna che trascina e nulla ferma, dal primo bacio
alle infinite parole che scandiscono un addio, ogni cosa, la mia sicurezza
nel saperti ora vicina, ma distante nei secoli e nella morte, è la vertigine del tempo
che oltrepassa i limiti del tempo, inizio e fine ritornano nella favola.
Io, il più mortale fra gli esseri, riporto i nostri corpi, nella realtà del tatto.
Un pensiero così ampio ingombra l’aria della stanza, le circonvoluzioni
della mente non tengono conto della finitezza dell’uomo e chi ci ha destinato
a questa tortura ha un amore particolare per le contraddizioni.
(Da L’acqua della nostra sete, inedito)