I giorni delle titubanze, quelli delle porte chiuse.
I giorni delle raffiche, delle parole continue, degli embrioni, delle associazioni.
I giorni dei boschi, quelli dei limiti, quelli dei salti.
Atterraggi sui fanghi, su morbidi cuscini.
Un gatto sulla testa… Dio come ho dormito bene!
I giorni di una storia, un’ora dopo l’altra.
Il ‘sempre’ è simile a una volontà, si chiama come una canzone.
I giorni che non puoi, i giorni che non vuoi.
Dio… che razza di banalità è mai un accento!
I giorni da scrittore, quelli da pezzente, quelli dei concerti, degli avvenimenti.
I giorni di un secondo, quelli in cui sei solo.
Tutti i giorni del mondo piovuti in una diga, spanciati fuori; hanno fatto danni, hanno fatto morti.
Litri e litri di solitudini.
Persone alle finestre guardano panorami. ‘Che sarà mai!’, sono solo alberi galleggianti.
I giorni da due lire.
I giorni di Cristo, lo suonano ai campanelli, la salvezza su un giornalino.
‘Troviamoci giovedì’, dicono, ‘Preghiamo, solo giovedì’.
I giorni che non ne puoi più, quelli che ne vuoi ancora
e ancora
e ancora
e ancora
e ancora
e ancora
e ancora
e ancora.
I giorni delle ipnosi, quelli dei flash, quelli degli aeroporti: volare lontano fa bene alla salute fa, altro che.
I giorni che contano, quelli che conti, quelli che mancano, quelli che arrivano.
I giorni di tu.
I giorni in cui capisci.
I giorni dell’espatrio, i giorni del cuore, i giorni del rumore.
Lenzuola lisce, arriverà Natale, Dio santo le palline, Dio santo le lucine, Dio santo le statuine.
I giorni che passeremo.
Amore mio azzera tutto, non ho scritto niente. Ho scritto solo questo:
viva il futuro, viva quel treno.
(Da Capriole Finite Bene, Il Seme Bianco Edizioni 2017)