Leopoldo Attolico, Notte sul fiume (a Sandro Penna)

Patimmo l’epigramma
come fatica elaborata e nutrita,
suo malgrado, per somma di gelide paure:
paura di non saperlo riconoscere,
paura di non amarlo abbastanza.
Poi Sandro Penna disfò il suo male
di giocattolo rotto a celebrare una morte
– ben vivo, sulla riva di un fiume:
quattro parole in fila
per un bengòdi di luce ad incendiare il buio.
La riva nera si rimangiava il suo colore.

 

(Da Si fa per dire. Tutte le poesie 1964-2016, Marco Saya Edizioni 2018)

Leopoldo Attolico, Vidi, mia madre

Vidi, nel gioco
passeri rotolare sul tetto
e in un amen (di gioia? di paura?)
irridere l’abisso: solo uno scarto, prensile
nell’aria, per poi ricominciare daccapo
dalla prima tegola.
Nell’enfasi del sole e dei colori
-in quell’incanto
vidi, mi parve, intera la mia vita;
come una partitura
percorrere il declivio in splendido fervore di note,
verso l’ultima; e lasciarla, febbrile
all’indulgenza preoccupata di una piccola creatura
sorta dal nulla, chissà da quale Ade di sogno
e di parole venuta a darmene misura,
a fior di labbra.

 

(Inedito)

Leopoldo Attolico, Per certa scrittura futuribile

Per certa scrittura futuribile
La poesia è fatta di libretti
e di piccoli spazi,
di interstizi di buone intenzioni
sapientemente illuminati.
Quindi, a maggior ragione
la danza delle parole
non può essere un messaggio cifrato:
sarebbe come dire al creato
di accomodarsi nel piccolo cabotaggio
di una bolla di sapone edulcorato
che non rifrange il sole

 

(Da Piccolo spacciatore, Il Ventaglio 1987)