Massimo Morasso, Se chiudo gli occhi

Se chiudo gli occhi
penso a una costruzione della gioia,
qualcosa come un’alta cattedrale fatta d’anime
che abitano nell’aria in preda al sogno
di un altro mondo, più essenziale, dietro al nostro.
Qui, invece, l’erba si dissangua fra le pietre,
e io faccio fatica a immaginarmi
cosa significa uno scambio con il cielo,
l’impronta di una scarpa sul muretto oltre le lapidi
le tracce di un dolore che ora sento
vibrare nel respiro che è di tutti, cuore a cuore…
Mi ricordo le sere senza pioggia.
Colline, in fondo alla carraia, un’auto immobile sul prato,
la strada per Soriasco, Francesco appena nato, cose piccole.
Come ci parlano le ore del raccolto…
I grappoli che ho scelto, i chicchi che ho lanciato verso gli angeli
nascosti fra i filari, tenendomi ai vitigni,
pensando a Orazio come a un’anima spaurita
che sciama in mezzo a schiere senza corpo e forma
eppure qui, nel tempo,
segno di un’orbita che è in noi, che insiste dentro la speranza
stretta all’istante come a un impalpabile
fertile permanenza dell’amore.

 

(Da Viatico, Raffaelli Editori 2011)