Alle vittime dell’Holodomor
È disquisire sul vello della capra –
sofisticheria d’accademia, fare a quarti
il capello ascrivere ad estirpazione di genia
ad animo di estinguere dei Pugni il seme
o a collaterale effetto di scellerata economia
la primigenia intenzione di Koba.
Il dato, la messa in conto, per favore –
il risultato: ben si dica genocidio consegnare
ad inedia la moltitudine laboriosa, la recalcitrante
etnia produttiva all’organizzato
sistema di razzia della proprietà sudata.
E già – si capisce – cavare due patate, cogliere
un cavolo, la bocca sulla terra tutto l’arco
del sole – chi non vede, in questo, al popolo
insulto, le campagne al capitale?
Estreme, superstiti voci, fiato torto che il groppo
assottiglia, neanche ridirlo all’infinito
capacita, non c’è pietra
– non esiste – da sovrapporre allo strazio –
a vivere mille anni resterebbe
il primo mortuario pensiero del mattino.
Subumane, quasi esalate parvenze, fuscelli
al vento, nel ciondolarsi di crani
casuali alle vertebre, becchi adunchi –
strabismo d’orbite, strascinati inconsci del dove
tra ammonticchiati esamini sulle strade
o quelli sui carri o nelle tombe d’isbe
che furono un fuoco, un pane.
La bambina scomparve, andai a casa sua –
mozzata la testa, il corpo nel forno.
Il neonato per ore a tirare dallo straccetto del seno –
viene niente e litanico piagnisteo scempia chi lo ama
la testina sull’albero e silenzio, sangue rappreso
su scheggiati ossicini e radi ciuffetti.
(Da Oltre il visibile, Arcipelago Itaca 2019)