Gianluca Pavone, Spazio Universo

Un tempo, sotto la matita, c’era l’isola. Un non luogo che rimpiccioliva come occhi alla sera. Ci dicevano che questo Universo di soli e mondi era solo una visione e che non c’erano nomi né passato, avvenire. Esisteva questo istante dove il cielo era in scena, la clessidra, e quel che è nei cieli deve rimanere nei cieli. Lì, di notte, a volte scorgo la tua luce che una volta circondava il corpo e l’anima che lottava. E’ tempo che io vada, che ogni passo lasci il bosco un po’ più nudo. Per ogni fuoco. Per ogni canto.

(Inedito)

Gianluca Pavone, Eppure soffia, si contrae

Eppure soffia, si contrae: qualcosa comincia nel cielo. Aliti e tramonti. Cieli in braille, interrogatori a petto nudo sfidando l’occhio del sole.
Teoria del come. Teoria del dove. Una voce imbevuta d’azzurro dice: “Il servizio è sospeso”. Si aspetta, non si parte mai. Movimenti rampicanti a diesel, tegole arroventate dalle lenti del binocolo puntate da un fotoreporter sui tetti, sui cortili. Il delitto Thorwald, l’indagine.
Nelle fotografie scolastiche il tuo sguardo è distratto nell’altrove: qualcosa vive ancora nella tua testa. Tarme che divorano gli anni migliori. Alto voltaggio, Infernetto. Ogni cielo ha la sua scatola nera da qualche parte. E tu resterai qui, ad affondarti nel cuscino. Tra allucinati campi di fragole e piste di ghiaccio dove scivolano i denti di un pettine. La tua terraferma di ogni sonno, dove attraversi i morti a sassate chiamando a rapporto il profilo di un padre. Contrasti, sbavature. Un finale di crampi. Poi più nulla.

(Inedito)