Antonello Satta Centanin, Tutti i santi

Se fossero davvero tutti, Ilario
Fidanza, noto barman di Viggiù,
avrebbe il posto suo nel calendario,
e lo si stimerebbe un po’ di più

Di adesso che ogni volta che abbandona
il bar per espletare le funzioni
qualcuno lo deruba. «Vai in mona!»,
è quello che gli dicono. Ragioni

Che valgano la canonizzazione?
Il rassegnato scuotere la testa
nel preparare un’altra colazione,

nel traghettare con anima mesta
sua discendente anodina legione
degli avventori dentro la foresta.

(Da Poesia contemporanea. Quarto quaderno italiano, Guerini e Associati 1993)

Silvia Tessitore, Unomaggio

L’unico modo di sfuggire l’abisso è di
guardarlo e misurarlo e sondarlo e discendervi. (Cesare Pavese)

Alla benefica potenza
della vita — che pare
inspiegabile, in faccia
a tanto male — abbiamo
dato un nome.
Pare sublime
trovare scampo, perfino
consolazione — di più —
una ricompensa
alla fatica di guardare
e misurare e sondare
e scendere l’abisso.

(Da Lavoro in corso, scrittrici e scrittori per il 1° maggio 2020, a cura di Tiziana Colusso, Forma Fluens 2020)

Loredana Magazzeni, La nuova storia

Ripenseremo i flussi delle migrazioni.
Rileggeremo gli esodi.
Riscriveremo da capo i libri di storia.
Dimenticheremo le date delle guerre.
Impareremo solo quelle delle paci.
E quanto tempo gli uomini hanno impiegato a darsi la morte
non sarà più materia dei curricoli.
La storia sarà la storia del resistere
alle agghiaccianti sirene del potere
e quando una comunità diffusa e planetaria
avrà creato un’unica riscrittura del mondo
il nostro fine etico sarà raggiunto:
stia attento ciascuno a evitare il dolore dell’altro.

 

(Da Lavoro in corso, scrittrici e scrittori per il 1° maggio 2020, a cura di Tiziana Colusso, Forma Fluens 2020)

Francesca Farina, Minatori

I tuoi gioielli, questi pochi
anelli, che incastonano diamanti
a croci e ancora voci
di miniera e sangue d’operai,
questi ori scintillanti, questi pianti,
zaffiri a crocchi, incroci
di diaspri e coralli,
vene di brillanti, lacrime di santi
cavatori, sudore di sterratori,
questo orologio mogio,
mesto nel marcare il suo tempo,
sempre infinito e lento,
veloce e truffaldino,
questo malandrino senza requie,
queste bestie al tuo collo,
le catene del collier, il platino
celato nello scollo del golfino,
i bracciali a torchon, i cabochons
sfiorati dalle tue mani, ladri
di beni, di sospiri, questi vampiri
succhiasangue alla carotide,
alle tempie, questi pendenti-fendenti,
queste spade lancinanti, i martiri
che si immolarono per loro,
per l’oro

 

(Da Lavoro in corso, scrittrici e scrittori per il 1° maggio 2020, a cura di Tiziana Colusso, Forma Fluens 2020)

Alessandra Flores D’Arcais, Homo oeconomicus

L’homo oeconomicus
vive nelle città per progetti
da servo emancipato
a coltivare idee
pagate a cottimo
e nel tempio
sacrifica
il tempo della vita
e qualità e talenti
al dio neoliberale
i sacerdoti del lavoro
lo hanno ammaestrato
in un recinto mobile e precario
all’efficienza nomade
alla creatività flessibile
e lui alla fine crede davvero
che non esista altro modo
per sentirsi umano.

 

(Da La nostra classe sepolta. Cronache poetiche dai mondi del lavoro, a cura di Valeria Raimondi, Pietre Vive Edizioni 2019)

Nanni Balestrini, Apologo dell’evaso

La massima della mia azione difforme,
infausto al popolo il fiume
che al cinema videro spopolare
il delta, i fertilissimi campi
e i più nocivi insetti (chiara
minaccia ai vizi dei governanti!)

Fra i pampini ovunque liberi
Testi poetici
galleggiavano, gonfi – e si fa vano
l’ufficio dello storicò. Ma saremo

a lungo preservati dal morso
del tafano azzurro, da iniezioni
di calciobromo, dall’unghie della zarina?

Lucenti strani corpi
violano il cielo; sbanda
il filo di formiche diagonale

nel cortile riemerso; ancora
il sole sorge dietro
la Punta Campanella incustodita

dai finanzieri corrotti e un argine
ultimo crolla. Lode
a un’estate di foco. S’io fossi

la piccola borghesia colata
nelle piazze fiorite e nei dì
di festa che salvi c’ignora

dalla droga e dalla noia per un po’
d’uva lavata in mare
presso la marcia catapulta; rifugiati

al primo tuono nelle gelaterie – chi fuggirei?
Passato il temporalaccio d’agosto
i graspi giungono a riva

fra i remi ai contrabbandieri salpati
nel novilunio e anzitutto conviene
(usciti dal vico cieco chiamammo

e orme erano ovunque
dell’abominevole uomo delle nevi)
fare l’amore intanto

che sui porti la Via Lattea dilata.
Il Po nasce dal Monviso;
nuvole… ma di ciò, altra volta.

Da I Novissimi. Poesie per gli anni ’60, a cura di Alfredo Giuliani, Einaudi 3 ed. 1997)

Christian Tito, We Care

1. L’Azienda che chiameremo indicativamente «la fabbrica del benessere» ha come unico obiettivo quello di moltiplicare il denaro investito dagli azionisti a esclusivo vantaggio degli azionisti.

2. Si operi in modo tale che resti agli occhi dell’opinione pubblica (i clienti e la stampa prima di tutto) e dei dipendenti, qualcosa di oscuro e mai dichiaratamente svelato.

3. Si lasci invece intendere che la Mission sia tutta a vantaggio della salute dei clienti e dell’orgoglio di appartenenza dei dipendenti.

4. Si ricordi, ricordiamo, noi ricordiamo, che i clienti sono cose da cui tirare fuori denaro e che i dipendenti sono escrementi da spremere e sostituire a fine spremitura.

5. Si neghi qualsiasi tentativo di portare alla luce ciò che noi sappiamo.

(Da La nostra classe sepolta. Cronache poetiche dai mondi del lavoro, a cura di Valeria Raimondi, Edizioni Pietre Vive 2019)

Domenico Arturo Ingenito, Quando al mattino sento le voci vostre

Quando al mattino sento le voci vostre
rifluire dal basso, odore di caffè
le luci piene del giorno veritiero
– la vittoria del legno sopra l’acqua –
non temo più il senso della fine;
e la bellezza dei vostri capelli
miele d’azzurro carbone innamorato
mi riporta alle campane virili del mezzodì
quando da casa di Carmen a finestre aperte
Tommaso è fratello del sole
e io cammino nelle sue scarpe
ché mi portino in dono la sincerità della sera.

(Da Poeti della lontananza, a cura di Sonia Caporossi e Antonella Pierangeli, Marco Saya Edizioni 2014)

Alessandra Cava, blue rooms (più ripido è il fondale più alta è l’onda)

«Or come faremo a sapere le nuove del mondo?»
«ci sono pur sempre le rose, / ci sono pur sempre i gerani…»

uno spostamento, non un passo, più volte, questa mattina, anche i massi, più volte, causando, rischiando di inghiottire, causando la demolizione, delle correnti

si è reso necessario, questa mattina, uno spostamento di forme, queste barriere, figuriamoci cosa accadrà, si ammette che le cose possano cominciare, si ammette che le cose, più volte, possano cominciare prima, anche i massi, ma non che possano finire, questa mattina, dopo di noi

perché il mare sia clemente, a solo due metri dai massi, è necessario tenere, a protezione dell’asfalto, la città intatta, dal periodo e dalla frequenza, delle ultime ore, si ammette che, una zona soggetta, al presente, non può disertare, dopo che, ancora danni, ancora, la demolizione delle barriere, anche i massi hanno ceduto, l’unica possibilità, la fine, uno spostamento di forme invece che di sostanza

s’immagini cosa potrebbe accadere, s’immagini, uno spettacolo, dopo che, nelle scorse ore, c’è stato il cedimento, figuriamoci, anche i massi, frequenti in questo periodo, cosa accadrà, in quel punto, all’approssimarsi delle aree, se è bastato, uno spostamento, si è lasciato vedere, un continuo fenomeno, bloccato, per evitare, il prevedibile, invece che, dopo che, dopo di noi, continua a rimanere, la città intatta, il primo mare, vuoto di gente

il movimento ondoso, un continuo fenomeno, chiamato anche stato del mare, in qualche modo, sarebbe uno spettacolo, invece, essendo stato bloccato, ha provocato, con il trasporto delle correnti, il prevedibile, una definitiva irreperibilità, finché, in ultima analisi, figuriamoci cosa accadrà, essendo, la presenza umana, e la sua mancanza, ancora da provare, in qualche modo, non è facile prevedere, in quel punto, una mareggiata, l’eccezionalità della vicenda, dove sono andati

quasi ovunque, si ammette, che la loro scomparsa sia totale, eppure, finché il mare, quello che è organico e vivente, continua a rimanere, si può, telefonare al mondo, e dire, più ripido è il fondale più alta è l’onda, e anche, quello che è organico e vivente, dopo di noi, continua a rimanere, anzi, è ancora più alto, anche i massi, in località, in quel tratto di costa, senza lasciare traccia, di interruzione, una definitiva irreperibilità, è ancora da provare, uno spostamento di forme, per effetto, di erosione in atto

si ammette che le cose possano cominciare, con mare calmo, vuoto di gente, si ammette, anche, la loro scomparsa, le cose, con creste e flutti, si è avvicinato, mosso dopo l’estate, ancora di più, più volte, il pericolo, è facile prevedere il peggio, ciò che fa il silenzio, di un continuo fenomeno, aumenterà sul serio, uno spettacolo, e il suo contrario, nessuno si è lasciato vedere, la gente non è, e, anche i massi, sono in agguato, da nord a sud, bisogna solo sperare, il peggio, non una nota musicale, è altamente improbabile

non hanno luci, perché, per evitare che, la demolizione, all’approssimarsi delle aree, le case, i relitti, i massi, sia, la fine stessa, la fine del, la terra, la diserzione in massa, la distruzione delle barriere, prevedibile, in uno stato di agitazione costante, uno spostamento, anzi, in ultima analisi, il naturale, e, anche, il suo contrario, quasi ovunque, è ancora da provare, la città, appena abbandonata, la situazione, anche i massi, se non sia un sogno, perché sono andati, e dove, le previsioni, frequenti in questo periodo, si ammette che, l’eccezionalità della vicenda, sarebbe uno spettacolo, vuoto di gente

figuriamoci, le case, s’immagini, non hanno luci, non potrebbero essere che fantasiose, quasi ovunque, s’immagini, se non sia un sogno, o rarefazione, lo spopolamento repentino, poiché il mare, una successione di stati, continua a rimanere, organico e vivente, in uno stato di agitazione, ancora, una significativa traslazione dell’acqua, e figuriamoci, se non fosse per i rischi, i danni, i relitti, sarebbe uno spettacolo, con creste e flutti, senza traccia, è ancora da provare, che le cose possano cominciare, più volte, figuriamoci, che le cose, possano finire, una nota musicale, una rarefazione, anche i massi, questa mattina, figuriamoci, dopo di noi, un continuo fenomeno, un’evacuazione

 

(Da La Parola Informe, antologia a cura di Sonia Caporossi, Marco Saya Edizioni 2018)

Giovanna Sicari, Riprendo con umiltà i fili del cambiamento

Riprendo con umiltà i fili del cambiamento,
e riconosco questa faccia
Mia,
dopo vaganti letarghi,
Mie le occhiaie, le pieghe del naso, la noia degl’occhi.
Non ricordo più le risposte
di quando andavi svendendo allegria
e abbracciavi speranza.
Ora
nel ritratto di famiglia ho messo anche te
sbattuto con la forza e la sostanza
di quando mi ammazzavi
con ripetuta bestialità.

 

(Da Secolo Donna 2017, Almanacco di poesia italiana al femminile, Macabor Editore, a cura di Bonifacio Vincenzi)