Ci siamo appesi con una corda al collo in azienda,
siamo affondati, come dei veri capitani, con la nave.
Questo è l’orgoglio, il premio alla carriera, di noi
piccoli imprenditori del nordest colati a picco con
la crisi più brutta dopo quella del ventinove. Farci
trovare penzoloni nei nostri capannoni è un fatto
per noi di indubbio valore in un mondo senza valori.
Abbiamo creduto nella lega, abbiamo creduto in berlu-
sconi. In realtù questa, oramai possiamo dirlo, era una
balla. Ma ci piaceva sentirci ancora padroni, padroni
di qualcosa di nostro nell’Italia dei ladroni, noi eravamo
gente semplice, poco istruita e che ama rimboccarsi le
maniche. Ma quando abbiamo dovuto licenziare dal
nostro nosocomio gli operai con cui la sera ci ritrova-
vamo al bar, quando le loro mogli non ci mandavano
più sorrisi allusivi ma sguardi smarriti perché dovevamo
licenziare i loro mariti e quindi addio shopping il sabato
con successiva cenetta e scopata, ecco allora noi ci siamo
sentiti improvvisamente anormali, come quelli che prendono
gli psicofarmaci, i drogati, e quindi pur di non andare
dal dottore di cui ci si vergogna ci siamo suicidati. Tanto
certe cose si fanno in un attimo, meglio levarselo subito
il dente malato e a noi che non avemmo nessuna dimestichezza
col pensiero filosofico ci premeva soprattutto la dignità
i quattrini e conseguente fica in quantità. Le nostre mogli
adesso mettono in vendita le villette di barbie, ma nessuno
le può comperare, e questo ci riempie di un piacere volgare che
ci piace. Rimarranno anche loro più morte di noi lassù povere
nel loro nosocomio, che non ammette questa condizione.
Sui capannoni lungo la piana ci hanno scritto tanti
affittasi, noi affissi loro affitti e intanto gli infissi
già cominciano ad arrugginire e tutto imploderà affon-
dando nella melma della piana, visto che ormai il clima
si è fatto subtropicale nelle pianure nebbiose e afose
del vostro nosocomio. Abbiamo fatto bene a non aspettare.
(Da Nel nosocomio, Effigie 2016)