Risorgete, risorgete,
non più torri, ma steli,
gigli di preghiera*
È un martedì di settembre,
le strade bevute dalla stagione,
il naso a bucare l’aria, quasi a ricercare
quell’odore, d’immenso e liquido amniotico, del dormiveglia accanto,
i pensieri di traverso sul cuore,
l’ansia, e i marciapiedi ad esalare il silenzio del viavai,
gli spazi veloci, quasi inconsistenti, dei passi,
i sogni annodati al nodo della notte,
quella che mi ero ripromesso essere l’ultima sigaretta,
i rumori, e il loro sovrastare la solitudine della città,
il mio sentirmi estraneo
quando sopravvivere è un atto d’amore.
La morte è un madre improvvisa, che cammina scalza, a capo chino,
che risveglia da ogni poro il nostro nome
e la sua storia, ne spoglia il corpo,
ricolma bocche che hanno perso la forma,
zittisce il canto del tempo, annulla quel tic-tac evanescente
che satura anche la pioggia,
inventa chimere d’insonnia, lontane da qui,
e inganna il ricordo, e nega la terra
quando il domani è uno scarabocchio d’attesa.
Parleranno di noi, quando l’alba avrà morso la vendemmia di fiamme,
dopo che il dolore avrà saziato
e l’ultima preghiera raggiunto il poi
parleranno di noi, quando l’azzurro avrà raccolto le nostre membra,
dopo che il sangue avrà lavato il giorno
e le macerie salvato l’ultimo colore delle cose.
Come baci fioriremo dietro l’infinito, tra il vento e la parola,
dove la bellezza non ha fretta.
Era un martedì di settembre, ovvero lentamente e impercettibilmente fu.
* Da 11 settembre di Mario Luzi
(Da Asintoti e altre storie in grammi, Le Mezzelane 2019)