Alfonso Gatto, C’era ai vetri di freddo del Natale

 

C’era ai vetri di freddo del Natale
tra i graffi dei bambini anche il tuo nome.
Io bevevo il caffè, dicevo come
potrò vederla, càpita che il male
paziente all’improvviso m’allontani
nell’ansia dell’averti ove non sei.

Ma sei dovunque l’ora dei cortei
che passano, la festa del domani.

(Da Poesie d’amore, Mondadori 1973)
 

Alfonso Gatto, Non fosse altro son belli

Non fosse altro son belli
i ragazzi che fanno campagna
ai gradini di Piazza di Spagna.
Belli per nostalgia
belli senza riguardo
millenni dentro lo sguardo
per qualche giorno di scena.
Adamo seduto sull’erba
spacca la mela acerba,
si dice solo che campa
salendo e scendendo la rampa
di Piazza di Spagna.
Alla barcaccia si bagna
le mani rosse e vi beve
il riso delle gengive.
Se dice campa non vive,
aspetta la neve.

(Da Poesie d’amore, Mondadori 1973)

Alfonso Gatto, Facciata Natalizia Napoletana

Ai poveri balconi delle case felici
zeppe di strilli, inferme, in alto alle cornici,
ove il cielo dei fili si perde nell’albore
murario delle cupole e nel freddo del cuore,
e Napoli nell’agro falsetto trova il piglio
grinzoso, la sua matria ridicola di figlio
di scena è la facciata ove il Natale mostra
i melloni, le sorbe, l’uva dei merletti
di carta, i fichi d’India. (È la nomenclatura
del far tutto con cura.) Qui sbiadiva la nostra
fanciullezza pensosa: la stanza, i vecchi letti,
il Vesuvio dipinto sul mare di Bengala.
Era l’aria festiva, era l’aria di tutti,
la porta sulla scala aperta ai pastori
che piangevano i lutti, il bambino che viene
in braccio alle novene.
Era un vederci fuori
di noi, “al vento, al gelo”, per restar dentro, al fiato
di quel primo passato ove albeggiava il cielo.
Ho dipinto un ricordo, il ricordo ha la mano
paffuta di geloni per quel mangiare poco
in mostra sui balconi, ma dipingo per gioco.

 

(Da Tutte le poesie, Mondadori 2017)