Rita Pacilio, Si chiude in un palmo sbranato


Si chiude in un palmo sbranato
l’affanno struggente, stagione meridiana
di vendetta, nel mestolo rigonfio di pane
di pietra e acqua. Baci indifferenti
trascinano unghie dall’oriente vicino
nel viaggio, nel congedo che cancella
e verifica mille miglia perseguitate
dai vincoli paterni, il viaggio
del silenzio interminabile di quadrivi
senza affetto dove si spengono fughe
sventurate.
I muggiti e i pianti dei bambini si mescolano
ai labirinti esuli e pallidi e la maledizione
fa il resto nel sangue verde di lucertola
ferita sul marciapiede.

(Da Quel grido raggrumato, La Vita Felice 2014)

 

Rita Pacilio, La prigione di mio fratello

La prigione di mio fratello
ha le finestre sorde
esala l’anima ancora sbalordita
dalla paura del lampo
suoni di saluti nella campana
a morte
e sul collo il respiro che non vuole finire.

L’ecatombe ogni notte si maschera
impaziente il mormorio nei reparti
è illecito l’omaggio agli dei
si arriva sempre presto sottovento
menzogne e sacrilegi nascosti.

La prigione di mio fratello
è oracolo timido
probabile occhio spia
una pietra desolata
nella recinzione gli uccelli dormono
di là
nessuna barca esiste più.

(Da Gli imperfetti sono gente bizzarra, La Vita Felice 2012)

Rita Pacilio, L’assenza ha una forma inquieta

L’assenza ha una forma quieta
dischiusa, indecifrabile, bianchissima
un tumulto di cellule nella gravità delle spalle
fino a riaprire un rumore spezzettato

fermato nell’ansietà del chiarore tra due costole
nello stesso istante piegate alla redenzione
mansueta. Sembra possibile la partecipazione
la prima appartenenza fuori da queste cose

in cui metto le mani, un bicchiere, un rosario,
un libro, tante voci e mai la tua.

 

(Da Quel grido raggrumato, La Vita Felice 2014)