Saremo ripiegamenti su alture.
Saremo agguati lungo la scalata.
Giocheremo di nuovo a passarci il mondo sulle dita.
(Da Sembianze della luce, Giuliano Ladolfi Editore 2020)
Saremo ripiegamenti su alture.
Saremo agguati lungo la scalata.
Giocheremo di nuovo a passarci il mondo sulle dita.
(Da Sembianze della luce, Giuliano Ladolfi Editore 2020)
Non è facile, non è facile catturare una luce
nel temporale portato dal vento, mentre
la noia pasquale imperversa, e una parvenza
di perdita ci assale, una caduta al ribasso
tra le lente ore che passano, incespicando
in un buco, una gora, una traccia, una fiumara
che s’ingrossa dietro i vetri che si riempiono
di timide gocce di cielo ricacciate nel nulla
dal lesto sole. Altri maestrali si porteranno via
questi già vecchi e fragili puntini di mimosa.
(Da Sembianze della luce, Ladolfi Editore 2020)
Tenta per gioco il volo
quando sei coperto più del necessario,
perché non ti si chiede nulla
di straordinario, sei il piccolo che tenta il passo
nella scarpa dell’adulto.
Quando sarà il tempo, pronte le ali per l’armatura
che solca la notte e percorre il viaggio
non tentare d’inesperto il volo alto
ma quello di giusta opposizione al vento.
Lavora quindi prima sui tiranti e le giunture
sulle articolazioni, sulla cardatura del piumaggio
lavora sulla fusoliera al tornio
così che basti il lancio, armonico
rispettoso del dettato del mondo.
(Da Gli anelli di Saturno, Ensemble Edizioni 2018)
È di quella irata sicurezza
che ho paura, di quella convinzione
universale che ogni cosa
debba avere un proprio posto
un proprio naturale incastro.
Quel matematico postulare
per cui le curve asintotiche
non debbano mai toccare
il loro mare.
(Da Voltacielo, Oèdipus Edizioni 2018)
Le belle ragazze non escono mai
alle sei di mattina. Non affollano
la metropolitana. Tuttavia qualche scampolo
di bellezza, fa capolino fra i colli e i menti,
sotto gli orecchi, all’ultima piega delle vesti
delle donne sui banchi dei tramvai semivuoti.
E i ginocchi sotto gli orli delle gonne d’estate,
la freschezza dei tratti di pelle in salute,
le scarpe basse, che richiamano certe voglie di fughe
come la colazione di Manet.
(Da Voltacielo, Oèdipus Edizioni 2018)
Signore toccate dal mistero della morte
e delle tasse, affollano le filiali di banca
la vigilia di Natale. C’è chi riscuote ambi
e terni al lotto nazionale. Affermano di aver tradotto
i segni dei parenti defunti nei sogni,
utilizzando dialetti che hanno sfidato i secoli,
e con essi sono arrivate a trattare
riscossioni in uffici di plastica e vetro
dai semplici e accattivanti colori
come api su stilizzati narcisi di campo.
Di lì a poche ore il loro cuore si scioglierà
lentamente, tra le salse che sobbollono.
Lo cucineranno come olio di soffritto
o come burro tra le salvie. C’è chi dice
che l’essenziale è ciò che permette, l’ossigeno
è solo una percentuale minore dell’aria.
Figli e nipoti vi faranno la scarpetta con il pane,
come manna per ricominciare.
(Inedito)
Sugli stendini dei reggicalze appesi
da una casa all’altra ticchettando vanno
gli splendori della città.
Portati a spasso dagli storni
si infilano nelle intercapedini
placcano d’argento le giunture
erigono un altare al sole e alle sue lune
filettano d’oro i capelli delle donne
gira loro intorno un universo di campagne.
(Da Voltacielo, Oèdipus Edizioni 2018)
ricordare le ceneri
sparse sui fondali dei robivecchi
cercando gli operai che non sono.
fasci di muscoli iniettati di sangue
e martelli levati.
trovare toni di voce sbracati
lingue adatte ad affilare coltelli,
minacce e bestemmie
sull’ideale che fu.
santini in tasca come talismani.
viola sanguigna non colta dai più
lasciata al macero degli anni
nelle teche dei saloni sepolti.
le falci solerti non mietono più
nutrimento dalle pagine ingiallite
e le rondini volano a pelo d’acqua
senza rischiare la vita. i ricci di mare
negli antipasti sontuosi borghesi
degli italiani, deflagrano chicchi di sale
sui mortai dei campi rom.
faccia da bimbo in bianco e nero pensoso
la tua canaglia forse non cambia?
crudele e sublime rischiare
un pianto supremo di madre
per una manciata d’ossa e piume.
forse una fiaba temeraria
e consolante, che non meraviglia più?
Ilaria partoriente di Lucca
metafora da figlio prodigio
sacrificato sull’altare più alto
della più spietata borghesia di rito.
Già condannato mentre denunciava:
libera Ilaria dall’Italia, il mondo!
Saturo nel grembo freddo
nucleo caldo sovrumano infecondo,
squassato dal porno/fascio perverso:
zavorra sul volto d’Ilaria
che dorme inerme e fatata.
Risveglia l’anima del popolo,
fiaccata dal vivere onesto!
– madre dimenticata e figlio protesto:
così che ogni filo infine passi
per la sua cruna dorata:
che si liberino gli occhi sereni
del volto soave d’Ilaria!
Che sia di verso osceno
di storia sbagliata
il nominarti a denti stretti
un punto di domanda.
L’obbrobriosa condanna
fabbricata per la bocca dei mentecatti
si muove in circolo e scolora
pochi istanti.
Più forte l’anima si riempie
se considera il meticoloso
esplosivo disegno dei versi,
la capillare descrizione dei censi,
l’ostinata dichiarazione di sé:
se deglutisce il groppo
senza perdonare l’imperdonabile
ché nulla c’è da perdonare:
t’intimeranno di non splendere,
e tu splendi, invece!
(Da Cronache dell’Armistizio, Onirica Edizioni 2017)