Alessio Alessandrini, I vecchi

I vecchi hanno un cuore liquido
fin dentro alla noce degli occhi
se li pungi con l’ago ne sussurra
un lago di canizie e ricordi.
I vecchi hanno stringhe bagnate
lunghe chilometri di inciampi,
per rincorse a fiato corto
contro balconi aperti
e un mezzo giro di danza
sopra al contorno dei davanzali
se sognano le ali dei piccioni
a cui gettano il mais tostato,
credono di avere nove vite
come i gatti e partono
per il loro viaggio forzato.
I vecchi bestemmiano il
Dio degli sfratti e figli
troppo presto resuscitati
pronti a metterli in croce
nei reparti ospedalieri.
I vecchi ciarlieri, la voce
impagliata nella giugulare
passano di mano la vita
come le carte del poker
a qualche fossile giovane
sfrontato con le Foot Locker.

 

(Da Somiglia più all’urlo di un animale, Italic 2014)

Benny Nonasky, Quando il cadavere è fatto

Quando il cadavere è fatto,
i cinghiali fanno il resto.
Triturano bene pure le ossa.
Diventano bara e segreto.
Le mosche guardano con novizia
questa immunità giudiziaria.
E pensare che il cinghiale è
la cena preferita del cacciatore.
Partono a gruppi e, se tutto va
come Dio comanda, a sera c’è
carne per famiglia e parenti.
Col sugo, zia Lucia compie
un’azione culinaria irraggiungibile.
E per quanto detto,
potremmo allora definirlo cannibalismo.
Per qualcuno anche parentale.

 

(Da La città delle mosche, Gilgamesh Edizioni 2017)

Michele Bellazzini, Cos’ t’hoi da dir

Cos’ t’hoi da dir

Cos’ t’hoi da dir?
D’i mivi gh’n’è pu d’morti che d’vivi
e me ho da far a muxinarm.
J’è passat l’temp
d’robar l’ua alla Gorpara!

Quel ch’j’è nut dop’
l’è la me vita.
L’è stata mej
ma n’m’ven d’dirla.

D’arcontar
gh’è sempr me bà
la me sorela
l’me miccin
l’mal
la fama
la risa da ragazza
la paura d’gnicò.

Che devo dirti

Che devo dirti? / Dei miei ce n’è più morti che vivi / e io faccio fatica a muovermi. / È passato il tempo / di rubare l’uva alla Volpaia!. // Quel ch’e’ venuto dopo / è la mia vita. / È stata meglio / ma non mi viene da dirla. // Da raccontare / c’è sempre mio papà / le mie sorelle / il mio asinello / il male / la fame / le risate da ragazze / la paura di tutto.

(Da Parole Sante / ùmide ampate t’aria, Kurumuny Edizioni 2017)

Fernando Della Posta, Le belle ragazze

Le belle ragazze non escono mai
alle sei di mattina. Non affollano
la metropolitana. Tuttavia qualche scampolo
di bellezza, fa capolino fra i colli e i menti,
sotto gli orecchi, all’ultima piega delle vesti
delle donne sui banchi dei tramvai semivuoti.

E i ginocchi sotto gli orli delle gonne d’estate,
la freschezza dei tratti di pelle in salute,
le scarpe basse, che richiamano certe voglie di fughe
come la colazione di Manet.

 

(Da Voltacielo, Oèdipus Edizioni 2018)

Davide Castiglione, Devo a un lunapark congelato

Devo a un lunapark congelato
qualche gettone d’antecrisi
quando era la vacanza non io a condurmi
e la pesca dei cigni sortiva
marchingegni chiassosi e luminescenti.
Devo sempre qualcosa, Excel aiutami
col tuo retino casellario per quanto risibile.
Ultimato l’inventario un po’ malcerti sul podio
stanno l’urgenza e il fiatone
sul versante dei trenta, il ritorno all’accetta
che deve sfrondare ovatta su ovatta
sventrare il peluche
vinto fuori tempo massimo.

 

(Da Non di fortuna, Italic 2016)

Claudio Scaramella, Il peso del tuo ricordo

Il peso del tuo ricordo
domina i chilometri
che la notte accumula
nella sua pienezza.

Persino la terra finirà bruciando sulla tua bocca.

 

(Da Sottovoce, Cultura e Dintorni Editore 2017)

Nanni Cagnone, E trasognando le vedi

E trasognando le vedi,
figure scarse,
livide come un delitto
o per sortilegio amorose.
Invidia d’una vita
senza le mie vertebre, un
non orgoglioso scorrere
facendo del sorriso
un’abitudine—come
in certe locande fuori mano,
sai, quando sbagli strada
e chissà dall’errore
cosa speri.

 

(Da Le cose innegabili, Avagliano Editore 2018)

Raffaela Fazio, Dal roveto

Dal roveto
“Mi diranno: «Qual è il suo nome?». E io che cosa risponderò loro?»” (Es 3,13).

Io-ci-sono-io-ci-sarò:
non ti lascio
e non sono ancora
tutto.

Come un nido è il mio Nome
che cresce con l’uomo.
In me
c’è spazio per il grido
la lode
il dubbio.

Torna se vuoi.
Se puoi spicca il volo.
Se anche mi scordi
non sarai mai
solo.

 

(Da Midbar, Raffaelli Editore 2019)

Tomaso Pieragnolo, Io canto nel tuo nome

Io canto nel tuo nome perché tu
da un luogo lontano tu mi senta richiamare
perché giunga alla tua bocca questa goccia
e una sete pendente
ci racconti il vecchio mondo, la terra
già perduta nell’essenza ma sempre solvente
inalterata perfezione. Come i versi
necessari degli uccelli, degli alberi mistici
imbevuti di foschie, con un atto
della mano sulla fronte magari potrà
provocando un sorriso con lusinghe agghindarla,
quando è tempo di partire
con parole abbracciarla, ricordando
coniugato sul suo viso come sarà
sotto i suoi piedi un cammino, le sue mani
che maneggiano fiorami e sopra le vette
una parvenza di silenzio; ragazza
che un enigma vai tessendo con nembi
d’inchiostro sotto il dono di stagioni, che non sai
mai terminare né iniziare, né forse sommare
al tuo continuo cambiamento, confida
nella vita in ciò che sogni e certo un mattino
così vicino, tratteggiando il tuo profilo
mentre dormi lei ti ammalierà
per una volta ed una ancora, e tu
dal passato saprai sorriderle.

 

(Da Viaggio incolume, Passigli Editore 2017)

Mattia Cenci, Di colpo si fa scura e fredda l’aria

Di colpo si fa scura e fredda l’aria
la Nomentana è dritta, da me a te.
“Ma sei venuto a piedi?” Certo. “Eh?”
Ho preso una carrozza immaginaria.

 

(Da Ý Lan, Fusilialibri 2017)