Silvia Rosa, Natura Morta

Un altro giorno spremuto in fretta
impastato intero ‒ un grumo ‒
dentro tutto il tempo del mondo,
scolora appena fino alla linea curva
del cuore, un’arancia d’inverno
data in pasto alla noia, acida.
Quel rosso che mi raggiunge sempre
come un maledetto monito
– non sprecare ancora le tue ore
non buttarle via come chicchi
di neve succhiati a metà –
adesso è un tramonto oltre
il vetro appannato di ombre:
sul tavolo resta affilato
il ricordo dell’alba, l’ennesima cui
non ho dato peso abbastanza,
per questa mia voglia di essere niente
in pace, dimentico a volte che esistere
è camminare sul bordo sbeccato
dell’orizzonte, fuori da questa ovatta
di nido appassito, ruvida quanto basta
a perdere anche la pelle.

 

(Da Tempo di Riserva, Ladolfi Editore 2018)

Silvia Rosa, Dita di mollica

Ci sono giorni da rosicchiare
come pane duro
‒ dal bordo annerito dell’alba
lungo la crosta delle assenze ‒
un boccone che raschia voce e
lascia segno tra le palpebre, umide.
Ci sono giorni come mattoncini
freddi d’acqua, in questa nostra casa
che ha l’eco del tuo odore e
alle finestre tende candide di nuvola,
che spiovono rigando guance
dove hai lasciato briciole di baci
e tra le labbra una promessa
di lievito e di sale, il terrore autentico
di perdersi fuori da una porta
senza più cardini e dai tuoi pensieri
chiusi a chiave, una serratura arrugginita e
svuotate le mie mani, le dita di mollica
da buttare ai pesci.

 

(Da Tempo di riserva, Ladolfi Editore 2018)

Silvia Rosa, Novembre

La città apparecchiata di luci
schiuse tremule dentro una ragnatela
di nebbie e brina, è novembre l’ospite
imbandito per i passi silenziosi dei morti
che si sporge su dalla collina e osserva
il fiume attraversare come un verme
molle il cielo a terra rovesciato,
dove strisciamo in processione.
La festa delle ombre è un invito a chiudere
stretti gli occhi per il pasto degli sguardi voraci
e vuoti, tutto intorno è un insolito balletto
di belle debuttanti ubriache: la prima volta
e l’ultima danzano a braccetto asincrone,
si prestano la voce per confondersi l’un l’altra,
e al centro del quadretto decadente
d’autunno sfoggio, campeggia una foglia rossa
bocca abbandonata al suolo senza più parola,
mi ricorda che la notte è invito a nozze
per sposi che non temono di farsi libagione
vicendevolmente per gli appetiti insaziabili
del tempo, che rintocca mezzanotte e aspetta,
attende una razione minuscola di gioia,
un piccolo sole da accendersi
che scolori sul palato, caramella domandata
in pegno ‒ dolcetto o scherzetto? ‒
alle porte sorde della primavera e dell’estate.

 

(Da Tempo di riserva, Ladolfi Editore 2018)