Valeria Raimondi, Boccone di padre

Boccone di padre

Cilicio non sotto, non scelto
ricama le curve di carne di schiena,
ricama origami su carta di pelle
Compare dal nulla, elegante,
non sostiene sui fianchi, non regge
Sui fianchi ricalca una strada battuta,
sui lombi tratteggia e imprime le colpe
Accessorio banale, frivolo orpello,
innocente la carne sorprende,
non più vanità di pizzi o decori:
la costola a inchino si tende

È boccone di padre la mano,
di quello che ieri teneva la sua,
non più pane di padre ma morso
-uno sbrano
che sferza, che batte, ribatte e colpisce
Giù in fondo si ammolla il rancore
affonda, stordisce,
minuscola mano arresa al tremore
Sarà mano che uncina buoni ricordi,
-ma invano,
mano di ladra che ruba dal suo,
sarà mondo spostato fuori dal fuoco
pronto a esplodere a ogni sibilo strano

Respirare una volta ogni volta
Come allora ingoiare un lamento
Come allora cercargli la mano

 

(Inedito)

Letizia Dimartino, Le voci d’ospedale

Le voci d’ospedale
sento il ritmo della cicala
nel grido della donna
oltre la cornetta
le nostre parole
il riso e la pena

stai immobile
leggi Pascal
con vertebre
che ci uniscono
il corpo
i giorni tuoi e miei

domenica di ottobre
città lontane, un sole
tiepido qui. Dimmi
se avremo altri giorni fermi.
Inghiotto una pillola
la tua sul comodino
e stiamo. Stiamo.

 

(Inedito)

Luigi Finucci, Hai steso le briciole

Hai steso delle briciole
per giorni di pioggia, le finestre
d’occhi curiosi il respiro
si è riposato l’indomani.

Abbi cura del silenzio
d’estate la memoria
si adagia sui lati
di una scelta mancata.

 

(Da Canto dell’attesa, Ladolfi Editore 2018)

Luca Atzori, La donna vestita

Una donna canta, vestita di rami
coperta da bianche lenzuola
al centro del palazzo di acciaio
(che crollerebbe
in condizionali
sismici anni settanta)

Tanto amore richiesto mi chiedi
flessa che guardi, sei tu
di te parlo infatti, in terza persona
che osservi con gli occhi delle anche
(lo dice lo sguardo
del mio corpo cavernoso)

Impallidisci, ti piace, qualcuno
guardandoti imprime sulla punta
del proprio cuore (ancora mitocondrio
in abito vedo/non vedo)
un ricordo, riscaldato come le stelline
sul sofà nei lunedì sera in quella fame…

La mattina sei vestita di piume
la donna vestita di zucchero
che sorride alla finestra
mentre cinguettano i cancelli

La nostra camminata sottile
quella che è mare anche lì
dove il respiro diventa onda
e sa di imitare le acque

Tiene conto che nel momento
in cui poggiamo le guance
alla bocca (sempre separata)
per pronunciare
lei, la donna vestita di rame
sorride mentre sgocciola

sussurra la catastrofe della volgarità
osservando il grugnito che mette
il silenzio irradiante le ceste
di voglia e calci sul tavolo
mentre il Sole batte forte
e c’è allegria dentro la stanza!

La tristezza, è matematico
gioca sempre alla rabbia
in un mondo dove qualcosa
esplode, la donna vestita

 

(Inedito)

Giorgio Casali, Geografie

per il diverso senso del tempo di quando si ama
il prima era anche un dopo
e il dopo anche un prima.
Peter Handke

Dove il mattino ci ritrova riposti
gomito tra mani, caviglia sui calcagni
fronte su torace, gambe messe giuste tra le cosce
ed altri fantasiosi attorcigliarsi
che la notte inventa ai nostri corpi,
è già la casa, porta del cielo,
tempo che trovo il senso
di ogni luogo.

 

(Inedito)

Lorenzo Fava, Dimentica la domanda

Dimentica la domanda, fai del tuo presente
la sola partenza, non sia solo apparenza
lo stato d’equilibrio che s’apre sulle cose.
Non retrocedere, non piegarti. Non hai
né vanto né colpa. Ha i solo la premura
di fare bene. L’espressione che si è persa
devi ritrovare, quella perduta sulla sfera
nel cerchio di tempo fuori da ogni possibile
orizzonte contiguo; fai che possano
riconoscere qualcosa d’altro nel tuo canto,
che non abbia a che fare con testo o voce,
come se non facessi altra cosa che dire.

 

(Inedito)

Luigi Finucci, È stata la notte

È stata la notte – non ricordo
che l’albero aveva radici
ben piantate sulle pendici.

I passanti erano schegge, aculei
sui terreni dove con mio padre
avevo sepolto le parole che non ci siamo
detti, però le ricordo bene:
ho creduto di stare intorno
al fuoco e raccontare una leggenda
ma è stato solo un fallimento,
la pioggia è caduta come
un giorno qualunque, sulla fronte
e sulle case.

 

(Da Canto dell’attesa, Ladolfi Editore 2018)

Luca Atzori, le Poste

Alle poste incontrai un negro
che faceva l’impiegato
mentre io ero il cliente

quale sorte nella vita
quale sorte quotidiana
quale rappresentazione

come sono Goffmaniano
come sono sociale
come sono intellettuale

quanta governance
quanta educazione

mi succede spesso quando incontro un negro
che conosce la burocrazia meglio di me

ogni volta che incontro un
negro
io apparecchio tavolate di fiori
poi mi preparo, faccio un respiro
e si! Sono un imbecille!
Sono un imbecille!

ma non m’importa!

perché sono italiano
(e qui una nota si sospende)
un italiano vero.

 

(Inedito)

Michele De Luca, Se precipita inerzia fluida

Se precipita inerzia fluida
suono magistrale
indicazione di volontà
Tuona il paesaggio viscerale
l’ordine del muto
la specie che si consolida vivendo
anima di pace che scorre
in fotostatica irruenza
e si fa quadro giorno e drammaturgia
Chioma d’infinito e di tregua
in evoluzione semplificata
in semplice diagramma incompreso.

 

(Da Parvenze, Eureka Edizioni 2018)

Luca Perrone, Mi consola la finitudine del Caos

Mi consola la finitudine del Caos
Sono perso in quest’Universo
Senza il profumo del tuo respiro
Se mi giro nel letto e non ti trovo

Un covo di ladri di speranze
Apre le danze spietate
Della sopraffazione; è maestro
Il rostro della zecca gelosa

E’ sorto un altro Sole
Più caldo e spensierato
La vecchia stella ha ceduto il passo
A una matassa d’ammirazione

La bellezza che ti porti appresso
Come accessorio e compendio
Non è che il vilipendio
Della mia anima grigia

Ma è già il tramonto e si manifesta
Il mirabile gesto inaspettato
L’inconcepibile candore esasperato
Del momento in cui taccio e tu mi baci

 

(Da Elle, RPLibri 2018)