Luca Buonaguidi, Il suono del vero

Il suono del vero,
nel fruscio di un gatto
furtivo di notte a Kyoto.
Bevo una birra in disparte.
Una geisha traslucida
sfuma nella strada elettrica.
Le faccio una foto.
Non vedo davvero.
Né comprendo.
E il gatto è scomparso,
resta il rumore del tempo.
Tutti dovremmo vivere
come i gatti, sornioni
sul ciglio dell’Altro.

 

(Da Uno studio sul niente. Viaggio in Giappone, Italic 2018)

Francesca Del Moro, Giuliana

Se mi rovesci in testa il pentolone
si fonderà l’orecchio con la guancia
l’occhio si incastrerà nella fronte
il naso mi colerà sulle labbra.

Riplasmerai tu il dolce viso
che ti condusse un giorno a farmi sposa?

Inciderai col bulino la fanghiglia secca
mi rifarai più bella?

E se poi mi spaccherai come noce
sgranandomi i gherigli delle ossa
come farai a trovarmi i fianchi
per posarvi, di notte, le tue mani?

Oggi le nozze sono consumate
oggi rinnoviamo le promesse.

Sulle mie bianche scapole ricade
tutta scintillante la veste nuziale.
Una musica sale, iniziano le danze.

Quale ballerina avrà vita più sottile
e così esili braccia e dita tanto filiformi?
Chi mai infilerà con altrettanta eleganza
nello scarpino il piede affusolato?

Offerte flessuose alle tue dita
le trentaquattro vertebre ondeggiano
vedi il perfetto candore
della cipria che m’imbelletta?
Vedi come biancheggia
la collana dello sterno?
Com’è delizioso il corpetto
del costato che mi adorna?

E le giunture delle falangi
lo vedi come m’inanellano?
Che bel bracciale di perla
splende tra l’omero e l’ulna?

Quale ballerina mai danzerà più leggera?
Quasi senza peso alle tue braccia
volteggio, piroetto, arabescando nell’aria.

Come incanta la grazia dell’umana armatura!
La carne è effimera e lo scheletro
è fatto per nutrire una passione duratura.

Mio caro, come vuoi, mi ti concedo
entra in me senza sforzo, sono cava.
Orsù ripeti la parola amore
rinnovami gli eterni giuramenti
immergi gli occhi nell’abisso dei miei occhi
posami un bacio, a suggello, sui denti.

 

(Da La Statura della palma. Canti di martiri antiche, Edizioni Cofine 2019)

Giovanna Iorio, Malintesi

Oggi, con mia sorpresa,
qualcuno ha scambiato per una poesia
la mia lista della spesa.
Per sbaglio l’ho pubblicata
iniziava così: insalata, pasta, passata.
Non è colpa né merito mio
se tra le cose da comprare qualcuno ha letto
la parola Dio.
Era solo un po’ d’olio anagrammato
una cancellatura sul foglio macchiato.

 

(Inedito)

Lorenzo Mari, Punto gotico

Non restano che le spoglie
di chi salì alla linea gotica cantando,
birre moretti nella sacca, fingendo
nuove resistenze. Il punto è mancato
alla linea, alla storia, giocando

di singolare luce, come una delle poche lucciole
che qui ancora si contano, come sulle Langhe,
e ormai cosa dare in luogo della carne
della memoria – neanche il merito
dell’osceno può restare oggi

alla carne dei mezzi padri,
già nera perché già scura:
non è più esposta
non è ancora ritirata –

sono ladri di ricotta e di quaglie:
è carne ormai sicura.

 

(Da Nel debito di affiliazione, L’Arcolaio 2013)

Anna Toscano, Un giorno

Un giorno ho fatto il numero
di una casa in cui ho vissuto
e sapevo vuota buia chiusa.
Ho lasciato suonare a lungo
ma nessuna stanza rispondeva:
il salotto ha appena girato gli occhi
il corridoio ha sospirato un poco
la camera da letto ha tremato.
Una lacerazione mentre giravo
nelle stanze con quello squillo
impertinente, insistente, inutile.
Che qualcuno per dio risponda,
ma si sente solo un’eco di tomba.

 

(Da Una telefonata di mattina, La Vita Felice 2016)

Luca Benassi, Non dite che non sapevate nulla

Non dite che non sapevate nulla
delle statistiche, delle polveri
stanche e le finestre aperte al temporale.
Non giustificatevi per i monitor
non dite di ignorare i documenti
di questi anni precari del tempo
che manca ogni giorno
e spreme e succhia, calcolato al netto
dei muri che non possiamo oltrepassare.
Non dite infine che serve una metafora
a spiegare il traffico, i cocci aguzzi sotto le ruote
e la notte guasta di amori infecondi.
E poi non accusate noi poeti
di non avervelo detto
e di non avervi ascoltato.

 

(Da L’onore della polvere, Puntoacapo Editrice 2009)

Alma Spina, Sarebbe oltremodo osceno

Sarebbe oltremodo osceno
se tu ora bussassi alla mia porta
e dicessi: – spogliami, sono un cane
abbandonato dai rifiuti – se mi dicessi
ancora – cara, spalancami le ossa
di cerva e scarpina piano il Monviso
fino al ventre. Sarebbe così osceno
se bestia mi parlassi del Gange
(scorre duemilacinquecentodieci
chilometri in lunghezza verticale
dalle tue gambe ossute magre)
scale saliranno alzate – ma ora taci
e oltraggiami la mente di parole
e dissetami sfamami guardami
e certamente tracotante e oltremodo
insolente ancora sarebbe se ti dicessi
svelami e levami il peso di sopra
e fammi megera fammi cerbiatta
fatti vecchio conoscitore di arti
di corpi di steli di grano di sorti
fammi odorare i morti dammi
i tuoi bianchi abiti sporchi
da lavare – dammeli! e poi
inchinami al tuo altare di lecci
veniamo di unghie gli specchi
col rosario aduliamo i risorti;
ma restiamo a terra (tacciamo)
che l’oscenità si faccia ramo
d’ulivo certezza di un’altra nottata
spenta e senza – mattina
senza penitenza.

 

(Inedito)

Giulio Mazzali, Tu mi chiedi

Tu mi chiedi
se sono stanco, ma non di cosa
e a cosa sto pensando.
È nella domanda ancora tronca
che tradisci trafelata
l’arte, tutta nostra,
di non volere in realtà
alcuna risposta.

 

(Da Tempora, L’Erudita Edizioni 2018)

Giuseppe Nibali, Generazione attuale

carcasse, visi morti: si agita luce nei cavi
un màglio sfronda il consorzio umano e
ne nascono. Ne muoiono.

La placenta respinge i colori più antichi, altri
piovono sulla terra chimica: una piccola duna cede
un altro grumo è caduto, bambina, non è il Male,
solo andiamo verso il tempo dal tempo. Tua pelle
forse del viso quella che guardi stesa sul corpo
tua pelle forse del dorso, e così scopri in petto
una gabbia in polimeri ciano e oro, un cuore
in poliuretano. Non gridare. I seritteri filano maglie
di sangue coagulato, coprono il cratere deserto
del ventre, suturano la struttura.

 

(Inedito)

Alessio Paiano, Foglio bianco del dattilografo

Foglio bianco del dattilografo
dove appari nel lemmario
dei suggerimenti d’amicizia

Nel calpestìo della schermata
il colonnato della Fontana
un video di cucina americana

Altrove una chiave cigola il Custode:
sparso il catenaccio della cattedrale
hai un nuovo pellegrino
t’ho vista s’un marciapiede di Berlino

Nel fetore digitale delle cose
perché vuoi parlar d’amore?
Narciso fallito, che lamenti al bar?
L’amar non è il tuo ciarlar di rose

Sassi, rami, autunni vari
m’hanno consumato il cappotto
Novembre gira le foglie dell’orto
come la lancetta rotta dell’ore
è storto il tuo riso morto

 

(Da L’estate di Gaia, Musicaos Edizioni 2018)