Lorenzo Foltran, Dormi con il ginocchio ben alzato

Dormi con il ginocchio ben alzato,
lanciata nella stasi della corsa,
sciolti i capelli al vento del cuscino,
come per caricarmi in campo aperto.
L’attacco è risoluto quanto calmo,
impeto silenzioso ma implacabile.
Isso lenzuolo bianco in poco tempo.
Prigioniero in esilio, a torso nudo
accetto l’armistizio del divano.

(Inedito)

Lorenzo Foltran, Implode a poco a poco il mondo fuori

Implode a poco a poco il mondo fuori.
Purezza custodita delle notti,
bicchieri di limone verde e sale,
tequila a ogni puntata della serie.
A noi stessi libiamo come Dei,
ballando su tappeti della Persia.
Sulla volta affrescata del sacello
dipinto, l’universo con due stelle.
Rituale della nostra religione,
ebbri, sciolte le vesti, età dell’oro.
Distanti, gli altri, tutti alla ricerca
della vita futura e precedente.
Questa è la vera vita, non ce n’è altra.
Io e te, tu ed io, noi nel tempio, nel tempo.

(Inedito)

Lorenzo Foltran, Il carrello si svuota della spesa

Il carrello si svuota della spesa,
di speranze già avute,
di ricette annotate, di folclore.
Profumo di cucina.
Cerco di darti da mangiare come
la madre di mia madre.
E ti sfamo, ti nutro. No, ti vizio.
Affetto familiare.
Prepararti la cena è una missione,
è servitium amoris.
Apparecchio la tavola per quando
l’ora sarà venuta.
“Butto la pasta” vuole dire “ti amo”.
“È pronto”, “lo prometto”.

(Inedito)

Lorenzo Foltran, La ruota sull’asfalto ti cancella

La ruota sull’asfalto ti cancella,
l’acuto dell’attrito
spazza via l’apparenza e il dormiveglia,
la carezza ai capelli
(sfiora nel buio una frangia di vuoto)
come cieco ricordo.
È in questa falsa cecità che cerco
ciò che ho sempre perduto,
l’ultimo appiglio a quella tua figura
da passato recente
che non conosco più se non distante.
E non trovo nient’altro.
Sconforto: quello che mi è stato tolto
è rubato anche in sogno.

 

(Da In tasca la paura di volare, Oèdipus Edizioni 2018)

Lorenzo Foltran, Ora un po’ timorosa ti domandi

Ora un po’ timorosa ti domandi
che cosa devo dirti,
scivolando sul velo dei capelli,
quale mistero o storia.
Non molto in vero, solo che al museo
riempivi quelle stanze
vuote e pronte ad accogliere qualcosa
con te e la tua risata
(a questo punto mi hai chiamato in treno,
ma adesso non importa).
Davvero, cosa c’era da vedere
l’ha riflesso uno specchio,
quello che c’era da sentire un altro.
E non te ne sei accorta.

 

(Da In tasca la paura di volare, Oèdipus Edizioni 2018)