Carlo Gregorio Bellinvia, Forse

Tutto qui, io credo. Per questo
non invio posta né desidero
traccia di alcun tipo
dal mondo. Cancello
sempre l’email malformata
che non distingue tra Uomo
e uomo negli indirizzi. Scanso,
evito, prevengo. Non possiedo
riferimenti, come
in quei treni incrociati,
non so se sia io in fuga
o se sia solo l’altro
carro in moto. Ma è facile,
alla fine basta valutare
le margherite uniche,
ferme, ai bordi del binario.

(Da Omissis, Arcipelago Itaca Edizioni 2021)

Giuseppe Nava, Niente da dichiarare

niente da dichiarare
libera circolazione delle persone delle merci
deperibili in assenza di aria o alle basse temperature
la bolla di trasporto non dice né il cronotachigrafo
o i segni sui copertoni i sassi incastrati nelle scanalature
i chilometri sempre più e l’usura inevitabile
niente dice solo mostra a un certo punto
il portellone aperto uno sbadiglio il fiato freddo i denti
immobili bancali incellophanati e negli interstizi
tra le scatole di biscotti e cracker
i colli già venduti al niente oltre il mare
i colli racchiusi forse in sciarpe catenine mani
i colli piegati le teste inclinate i colli senza etichette i colli
non più disposti come alla partenza non più disposti a

(Da Le attese, Vydia Editore 2021)

Rita Greco, Le cose sono fragili e si rompono

Le cose sono fragili e si rompono
basta un solo sguardo leggermente acuminato
o un silenzio dove andava incastonata una parola
basta una sola indifferenza
l’attimo nero d’indifferenza
– che tu ci sia o no è uguale –.
Le cose sono fragili e si rompono
se anziché vedere il tuo viso
vedo le tue spalle
spalle spallucce ballerine
– scusami ho da far con le galline
che me ne importa di te? –
Le cose sono fragili e si rompono
e per non romperle occorre molta cura
una cura senza sforzo, s’intende,
carezza limpida fluente
naturale conseguenza di questo nostro esistere
da quando scoccò il miracolo di vedersi.

(Da La gioia delle incompiute, Ladolfi Editore 2021)

Tonino Vaan, Cinquemila anni prima

Cinquemila anni prima, che il suo tempo
arrivasse sulla terra
Duecentocinquanta milioni di volte, il sole
Wei-T’e, osservaste il nascere di una stella.
Massa che fu responsabile
non meno la sua rotazione
e per certe allusioni, ad un medesimo grado
come Noi, da uno e dall’altro orizzonte
Hope la chiamaste, sull’intaglio di una roccia
tra lastre di Sedum
Album e maree di ultralicheni
sola curva di luce, che presenta anomalie
a quali ancestrali pensieri, chissà
buconero fanale, multipla testa di un faro

(Inedito)

Riccardo Frolloni, Preghiera II

Madre, ti vedo in lontananza e ho pena
di non esserti abbastanza uomo, noi due
ci scambiamo negli specchi, mentre scivolo
dietro, ti prendo la busta della spesa, apro
la porta di casa, e mi invento tante parole
e nemmeno una che sia vera, che dica qualcosa,
hai un libro che ti ho prestato, lo leggi
due pagine alla volta, l’hai iniziato
con il letto ancora piccolo, ora invece
sembra tutto più grande, l’aria la vedi
pesare dai soffitti, soffia dalle camere di sotto,
io per questo di notte cammino scalzo,
farmi parte di questo niente, per paura
che ti possa sembrare qualcuno.

(Da Corpo striato, Industria & letteratura Edizioni 2021)

Riccardo Frolloni, Preghiera I

Padre, tu che ora sei infinito
hai chiuso col passato, noi
invece ti cerchiamo nei frammenti,
nella ripetizione di parole, e sempre
sembri una poesia. Padre, dammi la forza,
fuori c’è un vento un vento un vento
strabico, come i pensieri.

(Da Corpo striato, Industria & letteratura Edizioni 2021)

Glauco Piccione, La questione del quadrante

La vita va avanti così, potrebbe anche essere.
La luna nell’alone fioco. Coloro che hai visto sepolti dalla cenere.
I soprassalti. Gli stridii impreparati dei portatori delle false bandiere.
Le delusioni foderate di piume. La necessità.
Le orme calcate. Le palme con il punteruolo rosso insito.
Le pulsioni. Le suppellettili. Le giornate.
Le chiese sconsacrate. Le finestre aperte. Le bombole a gas.
Le giostre. Le voci. I tagli della macelleria.
E la questione del quadrante, la legge più bella di tutte.
Un giorno tornerai. Quanto oltre mi saprai dire.
Altro cieco dilemma non ricordo.
Non un punto di fuga, una simbiosi dove l’addio ha richiamato applausi.
Un giorno tornerai. Quanto oltre mi saprai dire.
Altro cieco dilemma non ricordo.

(Da Il tempo evolve, posticcia l’umanità, Transeuropa 2020)

Jonathan Rizzo, Omaggio all’amico scomparso

Il giorno che Marina morì
eravamo tutti al bar,
come in ogni altra occasione,
immuni dalla vita e da Lei.
Il vento cessò improvvisamente
di battere
e il caldo si fece insopportabile,
così decidemmo tutti insieme
di alzarci di colpo,
lasciare l’ultimo bicchiere a metà
sul tavolino sporco,
per non salutare
e finimmo con quell’estate
per sempre.
Quando la morte arrivò
non trovò più nessuno,
solo il conto da pagare.

(Da Le scarpe del flâneur, Ensemble Edizioni 2020)

Paolo Agrati, Un fremito percorre le mie ossa

Un fremito percorre le mie ossa quando dalla finestra
della cucina osservo la distanza dal suolo. Chissà
qual è il suono di un corpo che schianta, il rumore
di uno scheletro che scrocchia diventando carcassa.
E quando rialzo gli occhi sui visi di famiglia
ribolle la minestra sul baratro del giorno che passa.

(Da Partiture per un addio, Edicola Editore 2022)

Francesco Tripaldi, Drachenfutter

Lo abitiamo senza ingombro
quest’enorme spazio-frattura,
questo chiavistello d’anima pura
a bloccare l’ingresso dell’ombra;
aspirare un’estasi esatta
su una guancia di sale,
sussurrare parole d’oracolo
in una spirale disfatta,
scalare crinali cobalto
tra riflessi di luce
dell’alba che gracchia in gola alla luna.
Un timoroso suono di pace
in seguito ad una disputa
è il concetto di distanza
più affine
a quello di prossimità
che esista.

(Da L’individuo superfluo, Ronzani Editore 2022)