non ho una cosa, io, e non abbiamo
più cose, noi, né voi, né sul fronte,
né sul retro, ma una sola pagina, io,
e più pagine, noi, e voi, solo aperte,
certo, ma anche chiuse, serrate a
doppia mandata, eppure esposte,
nelle superfici, o incorniciate da
margini invisibili, sempre presenti,
o presentati come una sola cosa da
difendere, o più cose da mortificare,
senza che ci sia una cosa per cui valga
la pena arroccarsi, o sulla quale infierire,
io, e noi, e voi, tutti in fila sulla linea
immaginaria che taglia il centro,
o debordati, in ordine sparso, dal centro
verso l’esterno, ma il centro non c’è,
e l’esterno non è adatto a contenerci,
non può incidere sulle nostre mani la
croce della disfatta, non ho una cosa,
io, e non abbiamo più cose, noi, né voi,
senza dire l’altro sul fronte, senza dire
altro che non sia stato già detto sul retro,
senza dire altro che non sia già stato
fissato o solo sospeso nell’intercapedine
tra la verità e la menzogna, nello spazio
neutro e neutralizzato da secoli di
palesi inutilità, senza notare la presenza
che ci sfugge, che non vuole approssimarsi
a me, a noi, a voi, per questo la pagina
resta vuota, seppur piena di cose che
cose non sono, per questo la pagina si
mostra vuota, si manca nel contatto
tra me e voi, nel contatto che non c’è,
che non c’è mai stato, se non nella
sublime distanza che ci abita, nella
distanza incapace di costruire una
dimora in cui far naufragare l’approdo,
e non ci sono, io, né voi, e non c’è
nemmeno la pagina, osservate con
attenzione, è vuota, contiene solo
le crepe, le cicatrici che coprono
il danno ma preservano il dolo, eppure
resiste l’idea di una reversibilità tra un
fronte e un retro, tra il fronte dove
erigere una barricata e il retro dove
celebrare la resa, e io, e noi, e voi,
tutti in fila, stremati, sezionati di netto
nel centro, abbattuti all’interno,
violati all’esterno, senza una
scrittura, io, senza una forma, noi,
senza uno stile, voi, eppure insiste
quella malsana reversibilità di un
fronte/retro votato alla sua assenza
di fondo, nel fondo, attraversando
il fondo, dove nessuno allunga il passo,
dove nessuno affonda la stoccata,
dove la cosa si consegna alle cose,
ma non ci sono cose qui, né altrove,
non nel disegno superiore, appena
accennato, di un’idea da difendere,
e anche i segni sono cose, facezie
da artigiani sopraffini che non sanno
cosa è cosa, cosa non è cosa, cosa sputa
il centro e cosa trattengono i margini
(Da un progetto abortito, inedito)
Mi piace:
Mi piace Caricamento...