Daniele Barni, Rinascita

Quel giorno, forse nello studio
murato di libri,
ho sincronizzato il cuore
con la sveglia:
non so se lei palpitasse
o lui ticchettasse.
Facevo acrobazie sulla sedia,
ora avanti nel futuro,
ora all’indietro nel passato,
come funambolo del tempo.
Il tempo,
che, andandosene,
rimaneva.

(Inedito)

Daniele Barni, Piccola testimonianza

Ho sbagliato perché ho vissuto, e a volte
perché non ho vissuto abbastanza.
Però, amo quegli errori, poiché essi
sono i miei soltanto, mentre
ciò che è giusto è di tutti. Ma si deve
sbagliare poco, non perché Dio o il giudice
lo abbia detto con voce di granito,
ma perché vale più ciò che più è raro.
Non c’è legge o precetto per legare la vita,
tutt’al più espedienti, o qualche astuzia
che l’infiocchetti: non si creda all’anima
e si risarcisca di attenzioni il corpo,
in quanto essa, se anche esistesse,
avrebbe comunque il privilegio dell’invisibile.
Si consideri che le cause degli eventi
sono sempre infinite o, forse, indefinite:
e che ciascuna non è altro che una nostra
cieca interpretazione. Sia poi l’ultimo
boccone del pasto il sigillo, non della sazietà,
ma della fame. Si pensi al bacio come
alla cifra unica di ogni sentimento.
E non si dimentichi la possibilità che tali regole,
compresa quest’ultima, non siano definitive.
Con questo fagotto di pensieri
ho attraversato le età, senza la pretesa
di desiderare la meta, né di ricordare
una partenza. Calcolando l’impossibile,
avanzo con il viso al tramonto,
cuocendomi gli occhi in bagliori
oscuri che assomigliano alla sera vicina.

(Inedito)

Daniele Barni, Dialogo tra l’Eternità e l’Istante

Disse l’Eternità:

Vorrei essere l’istante e tintinnare
così di nostalgia, oppure d’attesa,
persino di paura. E poi brillare,
anche solo una volta, di sorpresa.
Urtare nei cantucci della sera
il profumo sereno del mistero;
gradire sulla lingua il sarà e l’era,
l’agrodolce del falso con il vero.
E vorrei che il minuto, lentamente,
mi carezzasse come chi ama e parte:
rimarrei in equilibrio sul presente,
tentando la vertigine a ogni parte;
o cadrei dalla mia noia infinita
nel breve batticuore della vita.

Ma rispose l’Istante:

Ed io vorrei, al contrario, tintinnare
della gioia raggiunta senza attesa,
paura o nostalgia. Quindi brillare
della tranquillità senza sorpresa.
E soffiare per gioco nella sera
il profumo di pollini e mistero;
confondere al palato il sarà e l’era,
non l’aceto del falso e il dolce vero.
Non vorrei che il minuto, lentamente,
mi carezzasse come chi ama e parte,
ma vorrei che l’abbraccio del presente
mi circondasse eterno da ogni parte.
Bacerei anche la tua noia infinita,
perché per me sarebbe vita, vita!

 

(Inedito)

Daniele Barni, All’Europa

Europa, sei il più grande monumento
all’inutilità
del ricordo e persino della Storia:
per te non nutrimento
è tutto ciò ch’è stato,
neppure avanzo, solamente scoria.
Eppure il tempo gira la sua noria!
Perché se fossero utili,
coglieresti gli accenti
del libro degli eventi,
sul quale invece insegui righi muti.
Provo a sperare, almeno,
che sia il mio appello agli occhi tuoi baleno.

Cerca di ricordare Cheronea,
quando l’orso macedone,
venuto per rubare tutto il miele
fin dentro l’arnia achea
(canterebbe l’aedo),
solleticato e basta fu dal fiele
dello sciame di Tebe e sue clientele.
Il mucchio delle poleis
da questo, ed a quel lato
il muro di uno stato:
giudica tu, alla fine, chi la mole
di tanto guerreggiare
sarebbe riuscito a sopportare!

E non dimenticare quando il gallo
di Francia volle entrare
nel pollaio italiano: già Colombo
aveva rotto il vallo
che tra l’oceano e il mare
aveva posto Eràcle, e per lo strombo
dei suoi giorni era già disceso a piombo
sia quel Lorenzo forte
sia quel perfetto Piero.
I nostri polli empierono
di starnazzi palazzo, reggia o corte,
rimanendo a vedere,
divisi, chi li univa in suo potere.

Cerca di ricordare infine il drago
coloniale, dai denti
d’acciaio congeniali a ogni menù,
che si pappò, mai pago,
i quattro continenti.
A cavalcarlo, Europa, c’eri tu!
O ciò che hai fatto non ricordi più?
Le Compagnie delle Indie,
facendoti da sgherro,
barattarono il ferro
con argento e oro; non contente, quindi,
barattarono anche uomini:
e il nome “schiavo” ritornò fra i nomi.

Adesso l’orso russo ti minaccia,
pure il drago cinese
e, anziché il gallo, l’aquila d’America,
e altri vengono in caccia;
ma parti non coese
mostri a chi mira a te insieme ai tuoi averi.
C’è regola, però, quasi numerica:
in politica, e in vita,
fai il male o lo patisci.
Perciò, se non ti unisci,
così divisa finirai spartita,
o finirai colonia,
ahimè, di qualche dura egemonia.

O Canzonetta mia,
vai dall’Europa e dille
che c’è causa che vale più di mille:
salvare sé e, in sé, la democrazia.

 

Propongo una breve riprova in quattro punti per cercare di individuare, se non che cosa sia la democrazia, almeno dove quest’Araba Fenice si trovi: 1) La democrazia è fra coloro che pensano combinando sempre e umilmente nei loro ragionamenti e argomentazioni la deduzione, l’induzione e l’ipotesi, senza fare a meno o dell’una o dell’altra. 2) La democrazia è poi fra coloro che affidano sempre e umilmente i loro pensieri alla comunità, sperando che tutti siano d’accordo, o almeno la maggior parte, senza però smettere di considerare chi non lo sia. 3) La democrazia, ancora, è fra coloro che non dimenticano, sempre e umilmente, che i loro pensieri non siano definitivi, ma in ogni momento superabili, migliorabili o, addirittura, sbagliati. 4) La democrazia, infine, è fra coloro che rispettano sempre e umilmente tutti e tre i punti precedenti, non tralasciandone mai alcuno. Senza il punto uno, la democrazia si trasformerebbe nel cosiddetto populismo dei demagoghi; senza il punto due in dittatura; senza il punto tre nella oligarchia delle élites; senza il punto quattro nella cosiddetta democratura.

Daniele Barni, Il fiume

Il fiume è partorito dalla terra:
il suo pianto disegna prima un rigo,
che si fa traccia e poi tragitto che erra,
zigzaga, si raddrizza, nell’intrigo
del suo andare, o discendere, o finire.
Il fiume cade ma procede, sbanda
ma prosegue, ora scivola giù a spire
ma ci riprova, e senza far domanda:
il desiderio suo è di passare.
Il fiume ora cammina sopra lame
di pietra, si riposa in pozze rare,
trascina con la schiena ogni gravame;
svuota l’eccesso, colma la mancanza
e porta pure in braccio chi lo chiede.
Verso la fine, poi, in silenzio avanza,
lento corteo di vanità e di fede.

 

(Inedito)

Daniele Barni, Morte, madre automatica

Morte, madre automatica,
noi dalla terrestre
placenta partorisci nell’ignoto. Imbavati
in questa pioggia amniotica,
viscida alle finestre,
sono lampioni, vie, palazzi le tue viscere.
Qui attendo, nella stanza,
scrivendo finché a volte la notte trasparisce,
i giorni della tua gravidanza
volubile. Ma senza pianto sarà il mio parto,
come il parto dei morti.

 

(Da Piccola antologia di anonimi contemporanei, Italic 2017)