Europa, sei il più grande monumento
all’inutilità
del ricordo e persino della Storia:
per te non nutrimento
è tutto ciò ch’è stato,
neppure avanzo, solamente scoria.
Eppure il tempo gira la sua noria!
Perché se fossero utili,
coglieresti gli accenti
del libro degli eventi,
sul quale invece insegui righi muti.
Provo a sperare, almeno,
che sia il mio appello agli occhi tuoi baleno.
Cerca di ricordare Cheronea,
quando l’orso macedone,
venuto per rubare tutto il miele
fin dentro l’arnia achea
(canterebbe l’aedo),
solleticato e basta fu dal fiele
dello sciame di Tebe e sue clientele.
Il mucchio delle poleis
da questo, ed a quel lato
il muro di uno stato:
giudica tu, alla fine, chi la mole
di tanto guerreggiare
sarebbe riuscito a sopportare!
E non dimenticare quando il gallo
di Francia volle entrare
nel pollaio italiano: già Colombo
aveva rotto il vallo
che tra l’oceano e il mare
aveva posto Eràcle, e per lo strombo
dei suoi giorni era già disceso a piombo
sia quel Lorenzo forte
sia quel perfetto Piero.
I nostri polli empierono
di starnazzi palazzo, reggia o corte,
rimanendo a vedere,
divisi, chi li univa in suo potere.
Cerca di ricordare infine il drago
coloniale, dai denti
d’acciaio congeniali a ogni menù,
che si pappò, mai pago,
i quattro continenti.
A cavalcarlo, Europa, c’eri tu!
O ciò che hai fatto non ricordi più?
Le Compagnie delle Indie,
facendoti da sgherro,
barattarono il ferro
con argento e oro; non contente, quindi,
barattarono anche uomini:
e il nome “schiavo” ritornò fra i nomi.
Adesso l’orso russo ti minaccia,
pure il drago cinese
e, anziché il gallo, l’aquila d’America,
e altri vengono in caccia;
ma parti non coese
mostri a chi mira a te insieme ai tuoi averi.
C’è regola, però, quasi numerica:
in politica, e in vita,
fai il male o lo patisci.
Perciò, se non ti unisci,
così divisa finirai spartita,
o finirai colonia,
ahimè, di qualche dura egemonia.
O Canzonetta mia,
vai dall’Europa e dille
che c’è causa che vale più di mille:
salvare sé e, in sé, la democrazia.
Propongo una breve riprova in quattro punti per cercare di individuare, se non che cosa sia la democrazia, almeno dove quest’Araba Fenice si trovi: 1) La democrazia è fra coloro che pensano combinando sempre e umilmente nei loro ragionamenti e argomentazioni la deduzione, l’induzione e l’ipotesi, senza fare a meno o dell’una o dell’altra. 2) La democrazia è poi fra coloro che affidano sempre e umilmente i loro pensieri alla comunità, sperando che tutti siano d’accordo, o almeno la maggior parte, senza però smettere di considerare chi non lo sia. 3) La democrazia, ancora, è fra coloro che non dimenticano, sempre e umilmente, che i loro pensieri non siano definitivi, ma in ogni momento superabili, migliorabili o, addirittura, sbagliati. 4) La democrazia, infine, è fra coloro che rispettano sempre e umilmente tutti e tre i punti precedenti, non tralasciandone mai alcuno. Senza il punto uno, la democrazia si trasformerebbe nel cosiddetto populismo dei demagoghi; senza il punto due in dittatura; senza il punto tre nella oligarchia delle élites; senza il punto quattro nella cosiddetta democratura.
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