Serena Mansueto, La fretta del dolore svuota le voci

La fretta del dolore svuota le voci, riga il cielo
la rondine, la suoneria. La città livida è un otre
chiamami con il nome dell’aria baciata
dai respiri dalla pioggia di luce sul bucato
di quello che si consuma sulle mani.
Apro gli armadi come tulipani, sulle valigie
colano le maree stanche, dentro le parole
nascondo le crepe, un rimorso spento.
Piego gli indumenti e nell’orchestra della sera
qualcosa ancora si attacca alla mia costola:
la tua presenza. Il rampino dolce dei miei giorni.

(Da I cieli della preistoria – Antologia della nuovissima poesia pugliese, AA.VV., Marco Saya Edizioni 2022)

Francesca Gironi, Luglio

Che tu ti rivolga a me come ci si rivolge a una persona, chiedendo ad esempio
se sono arrivata, se sono riuscita ad arrivare, riuscita / arrivata
mi fa pensare che tu abbia compreso il mio genere
diverso dal tuo, e mi domando se tu ne comprenda i desideri
se tu mi abbia rivolto la domanda per gentilezza
oppure intuìto che oltre il confine dell’immagine del profilo
oltre le grazie dei caratteri tipografici, oltre il sì, ci sia un io
da questa parte della tastiera, protesa, con mani che sanno digitare a occhi
[chiusi
per via di antichi studi di dattilografia. E oltre le mani, braccia
che saprebbero sollevarmi da terra appesa a una corda. Sul collo
una vertebra esposta e una testa che esplode, per via di vasi sanguigni
che si dilatano a dismisura. Che io percepisca il tuo vedermi
come un fatto eccezionale, assolutamente degno di nota
che la tua domanda mi raggiunga come una carezza
di una persona al mondo quasi conosciuta
e per motivi misteriosi che riguardano la sfera degli occhi – del riconoscersi
[attraverso le nostre cavità oculari come fosse ancora valida la legge dello specchioanima – riconosciuta.
Che dunque il tuo domandare mi comprenda oltre la foto, oltre il carattere, fino a un corpo presente
in cui finiscono mutamenti esercizi disciplina solitudini
e implichi che la mia mano abbia ripreso a raggiungere l’altro lato del letto
aperta, in utopica attesa. Il tuo domandare se il corpo sia arrivato, se io sia
[riuscita
(sulle gambe o su un treno) mi fa osare pensare di essere vista
da qualcuno sulla terra. Oltre la foto, le grazie, il corpo, il miracolo:
Riuscita / arrivata.

(Da Il diretto interessato, Marco Saya Edizioni 2021)

Francesca Gironi, La mia persona cara

La mia persona cara
ha imparato a scavare una buca
è una donna con la vanga.

Si aggira di notte in cerca di un terreno su cui fare breccia
la riconosco appena, è un’ex bambina
alta, nata oltre il termine
di decenni oppure rinata per avverarsi
seppellisce un cappello e due voci in dolby
o me o loro, tagliatele la testa.

La mia persona cara a pensarci bene
sembra una strega
a ogni passo misura l’impatto della vanga
quanta forza ci vorrà
per bucare il mondo.

(Da Il diretto interessato, Marco Saya Edizioni 2021)

Daniele Bellomi, Una litosfera

una litosfera, una percorrenza, un’anagramma informale, quasi
geografico, le giornate a mietere, in maturazione, alla ricerca
di uno scampo per passaggi paritetici, elencati: così, in qualche
modo, è un’immersione, sì, per modesti cenni e deterioramenti,
una stratificazione, una mancanza di fiato, un levare, una messa
a terra della morale, un differenziale di altitudine, un calibro
fissato nel conciliare il qui, nel dire il più a ritroso. concedersi
alla parte del dileguo non sarà possibile nel darsi degli ammassi
aperti. l’abuso è nell’andare giù, dove le forze meno calibrate
non ne possono ripetere, alla strada, alla stratigrafia accidentale,
attesa all’amnesia, all’apertura amniotica, un lavare, un difetto
acquisito dall’aura, un risultato di accesso pronto allo scarto:
ciò che accumula e ammonisce è preso al posto dell’immune.

 

(Da La Parola Informe, esplorazioni e nuove scritture dell’ultracontemporaneità, a cura di Sonia Caporossi, Marco Saya Edizioni 2018)

Domenico Arturo Ingenito, Quando al mattino sento le voci vostre

Quando al mattino sento le voci vostre
rifluire dal basso, odore di caffè
le luci piene del giorno veritiero
– la vittoria del legno sopra l’acqua –
non temo più il senso della fine;
e la bellezza dei vostri capelli
miele d’azzurro carbone innamorato
mi riporta alle campane virili del mezzodì
quando da casa di Carmen a finestre aperte
Tommaso è fratello del sole
e io cammino nelle sue scarpe
ché mi portino in dono la sincerità della sera.

(Da Poeti della lontananza, a cura di Sonia Caporossi e Antonella Pierangeli, Marco Saya Edizioni 2014)

Sonia Lambertini, Per sottrazione mi ripeto

Per sottrazione, mi ripeto.
Due passi in avanti
conto fino a tre
mi guardo alle spalle
e vedo che non sono
mai arrivata più in là del sei.
Il chiodo fisso di controllare le cose
con la matematica, un movimento:
meno anni, meno possibilità
meno tempo e luce
e poche parole
corte, le preferisco.
Il segno meno è una linea orizzontale
una lama sul collo,
un peso insopportabile.

(Da Danzeranno gli insetti, Marco Saya Edizioni, Milano, 2016)

Giulio Maffii, I morti stanno rinchiusi di giorno

I morti stanno rinchiusi di giorno
la notte mangiano frutta
Salivamo all’ultimo piano
e ti chiedevo
cosa incantava la vista o la vita sui tetti
Erano sintomi mi spiegasti
non Yadruvava
il sole non mi avrebbe rapito
e trasformato in uccello
tornai spazio dentro
lasciando un po’ di tempo
gocciolare sul granito delle scale
Il condominio grondava silenzio
e noia e radioline e stanze
ipocattocrisia e voci
la domenica pomeriggio
quando anche dio
chiude il portone

 

(Da Misinabì, Marco Saya Editore 2014)

Francesco Lioce, I treni per Luca (senza l’amicizia non si fa rivoluzione)

Tardo di mente per gli amici,
per i parenti, in piccolo, bastardo,
ho svasticato imperi, allucinato
le foglie più arrostite della sera
da uno scalo merci salato di vruchi e gazze.

Come una lucertola, un po’ al sole,
ti piaceva fare l’hobo del quartiere,
da un muretto all’altro della strada,
fino alle cinque del mattino.

Roma Trastevere… Roma Ostiense… Roma Tuscolana…
e una scritta d’amore a spray bianco sui muri
FERROVIE DELLO SCROTO & SALIVA

È lì che mi ricordo di Anna Lisa
che passò a prendermi per portarmi all’areoporto:
il Giappone mi aspettava da una vita.

(Da La solitudine di Giuda, Marco Saya Edizioni 2017)

Antonio Bux, Due ombre si assomigliano se smettono

Due ombre si assomigliano se smettono
d’imitare luce proseguendo nell’abbaglio
ma se crescono per caso come un segno
presto o tardi poi ripiombano sull’orlo
d’esser simili al nero che confonde
senza fondere davvero ma sbiadendo

 

(Da Sativi, Marco Saya Edizioni 2017)

Marco Saya, Stanza bianca

Sei in una stanza bianca,
vuota con dei chiodi alle pareti,
cornici senza tele sul pavimento,
legni sparsi contorni di una
radio che urla la sua frequenza
sulla strada, una macchina
in retromarcia azzoppa la folle corsa
dei decibel, cani che latrano nel saloon
di un bar, rivoli-bava di birra lungo
il marciapiede.

Cambia il set:
un punto solitario,
la scimmia primordiale,
una stella lontana,
il nero del buio acceca la luce
della domanda.

Scuse … in ritardo
la stanza bianca ti chiede scusa,
la pelle della specie non ha saputo
proteggerti dal sole del tempo.

 

(inedito)