Roberto Franco, Nella tenebra il volto

Neri i frutti dell’alba
Tra i miei seni premuti
Muti i miei occhi nella morte del cielo
Giù nella corte delle brevi stagioni
Come signore del tempo si ergono
Dame che muovono il sangue e la sorte
Finché non affiora il tuo duplice velo
E una lastra del cosmo trema sotto l’aurora,
Piove, sulla terra vergine
Nasce il tramonto perché possa il tumulto
degli elementi sapere
Che dormirà nel tuo lembo di seno
Prima che un uomo lo possa vedere;
Notte giaciglio di tutte le stelle
Nuda sorregge il mio sogno crudele
La mia coscienza è uno scherzo del sonno
Quando mi squarcia la gelida pelle
E le comete di adesso e di allora
Sono i momenti rubati dal vento
Nel bruno pascolo del nostro amore
Quando placasti la mia prima sete

 

(Da Scrittura Corporea, inedito)

Sonia Caporossi, Le rughe di una donna

(Da Erotomaculae, Algra Editore 2016)

Samuele M. R. Giannetta, Hai nell’occhio lo spillo

Hai nell’occhio lo spillo
in vetro rosso dei satelliti
a primavera quando l’aria
si fa nera e scivola
– sempre via – da te.
Oh dolce sfuggirsi,
nella luce splendente
della sera.

 

(Da Il sonno limpido del mare, L’Erudita Edizioni 2017)

Fabrizio Morlando, I buttati via

Anche dentro il corpo la tenebra è profonda,
e tuttavia il sangue arriva al cuore, il cervello
è cieco e può vedere, è sordo e sente, non ha
mani e afferra, l’uomo è chiaro, è il labirinto
di se stesso.
Josè Saramago

Dopotutto ci si stanca presto della propria faccia.
Si fa il vuoto attorno a sé, lasciando alla luce segreti,
parole mozze, labirinti espropriati da qualsivoglia Minotauri.
Se solo all’occorrenza ci si potesse dimenticare di se stessi,
di quello che si è vissuto, cavarsi gli occhi con cui si è veduto,
una tregua nell’esistenza convulsa.

 

(Da Caramelle dagli sconosciuti, LietoColle 2017)

Vincenzo Latrofa, L’equazione del Tempo

Una nenia sommessa
canto
mentre sfuggono le epoche
ogni fu risarà
e il sarà fu fatto
Un brindisi al futuro
che da sempre è alle nostre spalle
mentre muoiono gli dei
e l’uomo continua ad esistere
Solo una goccia nel limo del tempo
in quest’immobilità millenaria
i silenzi parlano alle rovine
Sedimentare e dimenticare
Le capitali mutate dal tempo
Solo vaghe rovine del passato
Sedimentare e dimenticare
Lungo il flusso del tempo
Un giorno come altri mille anni
Sedimentare e dimenticare
che è l’assistere quotidiano
all’omicidio della verità
Quando il tempo non era ancora nato
molte cose aspettavano in grembo
Di essere partorite
poi il mondo giro frenetico
Le tracce ne furono cancellate
Svanite nella sua perpetuità
mutarono in storia
Scorrendo tra errori
e ideali sconfitti
mutò la storia e non mutammo in lei
e a soccombere fu sempre l’uomo
Un atomo sul trono
Del creato nel mare
infinito del tempo
tra le piaghe dei secoli
Gli eventi rispecchiano
La realtà eterna degli uomini
il tempo presente e il passato
Sono presenti nel tempo futuro
e il tempo futuro
anch’egli nel passato
La storia e il luogo della perdita
e poi della rinascita
teatro di eterne sopraffazioni
i vincitori d’oggi
Saranno infine vinti domani
perche si esiste dell’altrui morte
e il male e il collante
Della necessità
cio non si abolisce col pensiero
il tempo ha segnato il suo marchio
e in ceppi dimorano
tante possibilità estromesse
ma davvero possono
essere state possibili se furono
mai? o fu possibile
Solo cio che accadde?
Solo il possibile diventa reale
e cio che è reale è anche necessario?
e il segnale dell’alba
non è lo scendere del crepuscolo?
La vita dell’altra notte e quella
Di ogni giorno se le cose nuove
Sono quelle obliate?
molte cose ha da dire il lungo
trascorrere del tempo
Sulla sorte umana
cogli qual è il ritmo che governa
i mortali: il tempo
è sinusoidale tendenzialmente
Un determinismo inevitabile
e l’eternità non è che il rapporto
Della variabile con la costante
il tempo è come una clessidra
che si rovescia sempre su stessa
e gli uomini granelli di sabbia
eternamente nuovi
come un’araba fenice che crea
Una pira e s’immola
ogni volta si brucia
rinasce dalle ceneri
perche vuole ricominciare
è l’uomo le cui sciagure arrivano
commettendo i soliti errori
eppure l’uomo ha ciò che non ebbe
La fenice: una memoria storica
possiamo conoscere
tutti gli errori commessi nei secoli
e quando giungeremo
ad un alto grado di autocoscienza
Smetteremo di fare
Questi funesti roghi
e d’immolarci sopra
è tempo che l’uomo fissi la meta
è tempo che l’uomo pianti il seme
per la sua speranza
La storia non cancelli
Le impronte del tempo
La verità ne è figlia
non si piega ma piega
L’Uomo vero la sorte
Se non si sottomette
al mero consumismo della storia
La mera narrazione di eventi
Se farai della storia
La ricerca del vero
farai del tempo una forza creatrice.

 

(Da Canzoni del Tempo, DiFelice Edizioni 2017)

Simona Cerri Spinelli, Tarderanno sempre le cose buone

Tarderanno sempre le cose buone
se tardi tu.
Andò via dalla memoria con un frusciare sordo.
L’ultima nota che sgrana
e non si percepisce.
Però in gola, ad ogni risveglio,
il sapore scomodo d’aver dormito male.

 

(Da Secolo Donna 2017, Almanacco di poesia italiana al femminile, Macabor Editore, a cura di Bonifacio Vincenzi)

Fosca Massucco, Oggi è martedì

Oggi è martedì – nella quiete ascolto
i tarli masticare,
gli schiocchi ultimi dei ceppi.
Temo le parole come il luppolo
aspre, ruvide le cime. Con me
sta l’anima della faina,
i denti puntuti dentro le uova
e dei coniglietti in affanno
restano solo crani,
minuscole orecchie a terra.
Oggi è martedì – la bruma bassa
mozza le colline, galleggiano
le cime nella laguna e tutto qui
possiede un’aria anfibia, sterile
come il tutolo,
decisiva.
Si tuffano i bufoni grassi –
tra riva e ripa inutili
al contraccolpo dell’acqua,
oscillano i nodi dell’equiseto –
mi scruto severa tra i gusci
di mandorla spaccati dai topi.

 

(Da Secolo Donna 2017, Almanacco di poesia italiana al femminile, Macabor Editore, a cura di Bonifacio Vincenzi)

Maddalena Bertolini, Vai e ti porti via il mio taglio degli occhi

vai e ti porti via il mio taglio
degli occhi le gambe lunghe
di tuo padre e l’angelo custode.
Chiudo la porta premo la fronte
sullo stipite ti sento precipitare per le scale
ogni figlio è un precipizio sono
l’inizio dell’abbandono:
il cavo del corpo sul lenzuolo
l’odore del capo sul cuscino io
sono stata il primo
letto (al tatto trovo ancora
l’impronta del bambino nel mio petto)
tutto ti ho fatto e adesso non posso
aggiungere un passo alla tua vita
aggiustarti amore, solo amarti
e lasciarti andare.
Ho bisogno di angeli, di angeli, uno
per ogni tuo capello, uno per ogni
gradino finché arrivi in fondo a Dio

 

(Da Secolo Donna 2017, Almanacco di poesia italiana al femminile, Macabor Editore, a cura di Bonifacio Vincenzi)

Fernanda Romagnoli, Il tredicesimo invitato

Grazie – ma qui che aspetto?
Io qui non mi trovo. Io fra voi
sto qui come il tredicesimo invitato,
per cui viene aggiunto un panchetto
e mangia nel piatto scompagnato.
E fra tutti che parlano – lui ascolta.
Fra tante risa – cerca di sorridere.
Inetto, benché arda,
a sostenere quel peso di splendori
si sente grato se qualcuno casualmente
lo guarda. Quando in cuore
si smarrisce atterrito «Sto per piangere!»
E all’improvviso capisce
che siede un’ombra al suo posto:
che – entrando – lui è rimasto fuori.

 

(Da Secolo Donna 2017, Almanacco di poesia italiana al femminile, Macabor Editore, a cura di Bonifacio Vincenzi)

Alessandra Carnaroli, dormo col babbo nel mio lettino

dormo con babbo nel mio lettino
la mamma allatta il fratellino
dormo con babbo è il mio scaldino
si muove appena
fa veloce

è un dolorino

 

(Da Primine, Edizioni del Verri 2017)