Pier Paolo Pasolini, Vuei a è Domènia, doman a si mòur

Vuei a è Domènia, doman a si mòur

Vuei a è Domènia,
doman a si mòur,
vuei mis vistís
di seda e di amòur.

Vuei a è Domènia,
pai pras cun frescs piès
a sàltin frutíns
lizèirs tai scarpès.

Ciantànt al me spieli
ciantànt mi petèni.
Al rit tal me vuli
il Diàul peciadòur.

Sunàit, mes ciampanis,
paràilu indavòur!
Sunàn, ma se i vuàrditu
ciantànt tai to pras?”

I vuardi il soreli
di muartis estàs,
i vuardi la ploja
li fuèjs, i gris.

I vuardi il me cuàrp
di quan’ch’i eri frut,
li tristis Domèniis,
il vivi pierdút.

“Vuei ti vistíssin
la seda e l’amòur,
vuei a è Domènia
domàn a si mòur”.

*

Oggi è Domenica, domani si muore

Oggi è Domenica,
domani si muore,
oggi mi vesto
di seta e d’amore.

Oggi è Domenica,
pei prati con freschi piedi
saltano i fanciulli
leggeri negli scarpetti.

Cantando al mio specchio,
cantando mi pettino.
Ride nel mio occhio
il Diavolo peccatore.

Suonate, mie campane,
cacciatelo indietro!
“Suoniamo, ma tu cosa guardi
cantando nei tuoi prati?”

Guardo il sole
di morte estati,
guardo la pioggia,
le foglie, i grilli.

Guardo il mio corpo
di quando ero fanciullo,
le tristi Domeniche,
il vivere perduto.

“Oggi ti vestono
la seta e l’amore,
oggi è Domenica,
domani si muore”.

(Da Poesie a Casarsa, Libreria Antiquaria 1942)

Enea Roversi, A Pier Paolo Pasolini

A Pier Paolo Pasolini

1.

Erba filo spinato e poco lontano, il mare
le spiagge d’estate affollate, a novembre
sono lugubri teatri deserti
palcoscenici ammuffiti e polverosi
qui si conclude la tragedia
va in scena il delitto clamoroso
succulenta portata per mass media.

2.

Qui ti hanno portato e gettato, come
si getta la monnezza nella discarica abusiva
come abusiva è la plastica nei fiumi
abusiva l’intelligenza nell’Italietta post-boom
abusivo il pensiero di chi guarda oltre
e ogni giorno cerca di saltare le barriere.

3.

Hanno voluto chiudere la bocca, ma
quella bocca continua a parlare.
Se solo ci fosse qualcuno ad ascoltarla!
Se per le strade si potesse respirare
aria di speranza e non questo fetore
di rovina da tardo Impero.

4.

Trent’anni di corse affannate
e ben poco è cambiato.
Se tu ci fossi, ora, a indagare
fra le trame melmose

22.

dei giochi di potere
avresti le giuste parole
per ritrarre l’orrore
misero e catodico
di questo assordante vuoto.

5.

Mondo derelitto di accattoni
di scribi e faccendieri
eroi del potere analfabeta
ombre scivolose e madide
dove si perdono i sogni
nel suono dei crisantemi.
Alito pesante di benzina
tra i viaggiatori senza meta.

6.

Nuovi gladiatori dai denti d’oro
affollano le strade della capitale.
Il vento del Tirreno si spinge
fino a Roma: parte il motore
per un nuovo ciak arroventato
da girare senza sosta
ma c’è una verità non vana
che si è fermata
per sempre
davanti alla croce di Ostia.

 

(Da Incroci Obbligati, Arcipelago Itaca 2019)

Fernando Della Posta, Ti diranno di non splendere (a Pier Paolo Pasolini)

ricordare le ceneri
sparse sui fondali dei robivecchi
cercando gli operai che non sono.
fasci di muscoli iniettati di sangue
e martelli levati.
trovare toni di voce sbracati
lingue adatte ad affilare coltelli,
minacce e bestemmie
sull’ideale che fu.
santini in tasca come talismani.

viola sanguigna non colta dai più
lasciata al macero degli anni
nelle teche dei saloni sepolti.
le falci solerti non mietono più
nutrimento dalle pagine ingiallite
e le rondini volano a pelo d’acqua
senza rischiare la vita. i ricci di mare
negli antipasti sontuosi borghesi
degli italiani, deflagrano chicchi di sale
sui mortai dei campi rom.
faccia da bimbo in bianco e nero pensoso
la tua canaglia forse non cambia?
crudele e sublime rischiare
un pianto supremo di madre
per una manciata d’ossa e piume.
forse una fiaba temeraria
e consolante, che non meraviglia più?

Ilaria partoriente di Lucca
metafora da figlio prodigio
sacrificato sull’altare più alto
della più spietata borghesia di rito.
Già condannato mentre denunciava:
libera Ilaria dall’Italia, il mondo!
Saturo nel grembo freddo
nucleo caldo sovrumano infecondo,
squassato dal porno/fascio perverso:
zavorra sul volto d’Ilaria
che dorme inerme e fatata.
Risveglia l’anima del popolo,
fiaccata dal vivere onesto!
– madre dimenticata e figlio protesto:
così che ogni filo infine passi
per la sua cruna dorata:
che si liberino gli occhi sereni
del volto soave d’Ilaria!

Che sia di verso osceno
di storia sbagliata
il nominarti a denti stretti
un punto di domanda.
L’obbrobriosa condanna
fabbricata per la bocca dei mentecatti
si muove in circolo e scolora
pochi istanti.
Più forte l’anima si riempie
se considera il meticoloso
esplosivo disegno dei versi,
la capillare descrizione dei censi,
l’ostinata dichiarazione di sé:
se deglutisce il groppo
senza perdonare l’imperdonabile
ché nulla c’è da perdonare:
t’intimeranno di non splendere,
e tu splendi, invece!

 

(Da Cronache dell’Armistizio, Onirica Edizioni 2017)

Simone Zafferani, “Sono uscita da un sogno vecchio”

la luce / del futuro non cessa un solo instante // di ferirci
Pier Paolo Pasolini

“Sono uscita da un sogno vecchio”
disse appena fuori dalla grotta del vento.
“Ho lasciato lì dentro un matrimonio,
anime e abiti logori, un’infingarda svogliatezza.
Ho deposto quella che non ero
e sono quella che ancora non è”

E dunque forse il buio l’ha spogliata
e la luce che adesso l’avvince
la ferisce come il futuro.

(Inedito)