Angelo Restaino, Teoria dei labirinti

Siepi sempreverdi a spire secolari,
descriventi archi lenti, da seguire
rasentando un solo lato, sempre quello –
se lo spazio è semplicemente connesso.
Fatti: il verde è scuro, alto, sagomato
a spigoli netti, ad angoli retti: si sentono
altre voci, da cui deduco che non siamo soli,
ma non si incontra mai nessuno: si vede
sì il cielo sulla testa, ma non a un metro
di distanza. Pacchetti a pioggia un’ora fa
lanciati da un aereo contenevano
istruzioni e un kit di sopravvivenza:
“…e il primo che trova il centro ci cade
dentro, per cui si eviti di finire
il gioco”, orecchio, memoria,
molti libri. Vieni, andiamo insieme
(il tempo è così bello, la neve
è tuonata via ieri, salutando
e promettendo cartoline
che saranno pugni di grandine
per eccesso di sintesi o di ascesi
sui frutteti nuovi l’anno prossimo:
un problema che dovremo porci,
gesticolanti tra i filari,
improvvisatici braccianti)
tenendoci per mano e la mano sempre
sulla stessa siepe, senza mai lasciarla:
così da piccolo mio fratello
mi insegnò a trovare il cul de sac
e a ruota l’entrata/uscita dei dedali
che costruiva per farmi divertire,
(lui mi aspettava fuori, sorridendo)
se intanto nemici o il tempo
che si estenua a separarci
non l’hanno murata per dispetto.

(Inedito)