Alessandro Mantovani, Strofe

I

Ritrovarci tutti nel vicolo
oltre la coda che svolta, là,
nel vuoto. Possedere un luogo
dove disseppellire quattro arti
un paio di occhi ed innumerevoli
ossa dalle carni. Ecco volgarmente
tutta l’essenza degli incontri,
goffaggini incessanti
e dure inadeguatezze
che snidano dalle postazioni e rivelano
quello a cui non si crede.
Che nessun posto nasconde un corpo,
nessuna via domina uno sbocco
sicuro tra le ombre.

II

Attraversare ogni spazio della città
per vedere il nulla che è stato caro
prima di quando
abbiamo cominciato a trattenere
liquidi nei tessuti.
Per paura poi provare
tutte le strategie
apprese fin dalla scuola,
rovistando tra le plastiche
e lo stupore di tentare e non poter
lasciare segni quantomeno bastevoli
sulle schiene degli amanti o sui muri.
Un affanno per guardare l’inarcarsi
indecente del cielo, il permanere
di dita rotte, intrecciate in groppi.

III

Nel tempo immobili circolare
sempre alla ricerca della
stessa figura: un gradino, la torre
un portone e però che sia ben stabile
per poter infiggere un segnale,
non come quando sulle colline
si tendeva inquieti al
bloccarsi nelle beatitudini.
Invece s’agisce come le vespe
che in mancanza d’altro
fanno da intruse negli anditi
di cemento, il buio dei casermoni.

IV

Torneremo all’anno prima di nascere
che per un soffio non è stato vita,
soltanto storia. Ma romperemo
gli indugi e con un salto,
affioreranno possibili tutti movimenti
condensati nelle gocce, scenderemo
ancora – forse – per scale intricate
il dirupo fino al mare,
lo vedremo in silenzio, al limite.