Letizia Polini, Tracciarti il contorno

Tracciarti il contorno
per ricordare la forma
e rifarla.
Nel sonno fare densa l’orma
della sparizione, ricordare
che ti è intrinseco tentare
con prudenza l’equilibrio
sulle linee quando corrono
verso il punto della fuga.

(Da Macula, Ensemble Edizioni 2022)

Luca Gamberini, Per la tua bellezza

Per la tua bellezza
antipatica
allergica
a giochi di rime
e occhi languidi,
tu libera come i tavolini
dei bar in agosto in piazza.
Sbozzare di baci
il tuo corpo
ogni suo anfratto tattile:
e tradire stupore
lì sul tuo seno.

(Da Un etto d’amore (Lascio?), Ensemble Edizioni 2018)

Tommaso Urselli, Timshel

Fratello, tu sei mio fratello: ogni tanto
tra fratelli capita la guerra, e questo
fa dolore. Una guerra non di armi
ma di parole e parole, infinite
elucubrazioni. Ma la parola viva
genera azioni e non solo il nominare –
proprio come il Tao che ami di cui dice
Lao-Tse: il Tao di cui si può parlare non
è l’eterno Tao –. Qualche settimana
fa ne ho imparata un’altra: Timshel.
Questa è la parola che dice Max
amico e attore in “La valle dell’Eden”
dove interpreta il ruolo del cinese
e mi fa sorridere raccontarlo ora
a te, da poco ritornato dalla
Cina che ami, la Cina con le sue
contraddizioni: i templi taoisti su
montagne che quasi toccano il cielo,
i grattacieli modernisti, la
rivoluzione rossa di ieri, quella
degli ombrelli di oggi, la repressione:
tutto nel medesimo posto come
fossero posti diversi, invece è uno.
Come noi: diversi ogni momento
ma sempre noi, e per fortuna: Timshel!
Così ogni tanto ripete Max, amico
attore, fratello di una famiglia
più grande, quella del teatro del mondo
dove si vive e si muore. Timshel:
tu puoi… possiamo scegliere.
Non è una parola del taoismo a te
caro e nemmeno del buddismo a cui
mi sono avvicinato, è dell’antico
testamento da cui per tanto mi
ero allontanato e ora lo reincontro,
guarda un po’, sulle scene di un teatro.
È poi anche la parola del padre e
della madre che ci hanno generato.
Ma è anche tua è anche mia: una parola
senza confini senza razze senza
muri se non quelli che scegliamo
– lo sappiamo o non lo sappiamo poco
conta – di costruirci da noi stessi,
si chiamino essi taoismi buddismi
cristianesimi ateismi… gli “ismi”
non portano da nessuna parte, sono
vicoli ciechi, parola che si ferma
alla parola e non genera azione:
muore.
Gli “ismi” sono muri da
abbattere – dopo una Berlino
ce n’è sempre un’altra – se vogliamo
arrivare a noi e alla nostra pelle
e carne, al pensiero che suona: Timshel,
possiamo scegliere.
È una parola
– non lo sapevo prima d’ora, prima
di parlarti in questa lingua-musica
un po’ storta un po’ contorta: che ci
vuoi fare, è l’unica in cui in me
sono collegati bocca e cuore – è
una parola, dicevo, che viene
forse dal mare: invento ma così
mi piace pensare. Lo stesso mare
dove nostra madre ci ha tenuti
e ci ha “imparati” a nuotare. La stessa
acqua in cui a nostro padre piaceva
stare e stare ore a mollo, fermo
a pensare: nuotavano i pensieri
al posto suo, i suoi pesci-parole,
tracciando poi la loro forma viva
sui fogli di poesia che ci ha lasciato.
La stessa acqua, dolce salata o col
cloro, come quella della piscina
davanti a cui ora mi trovo, parlandoti
in musica prima di entrare.

(Da Oggi ti sono passato vicino, Ensemble 2020)

 

Francesco Di Benedetto, Vengo in mezzo al nulla

Vengo in mezzo
al nulla
brancolando l’asfalto
restio.

La vergogna nella
mia lingua
la paura di non sopravvivermi.


(Da Lettera a mia madre, Ensemble 2018)

 

Tommaso Urselli, Lampadina

La lampadina che sta ferma e prega
per favore per favore non andartene
ancora un po’ fammi esistere, non
schiacciarlo quel bottone che mi fa morire,
esplodere in luce.

 

(Da Oggi ti sono passato vicino, Edizioni Ensemble 2020)

Lorenzo Mele, Novembre

Sono nato nel freddo di novembre,
mentre il vento bussava alle pareti
di un ospedale a nord di Burgwedel.
Non sapevo ancora il dolore
di vivere a metà
nel chiaroscuro dell’infanzia.
Non sapevo la fatica dello stare
da solo nell’orto del cortile,
il mio cognome orfano di padre,
quella voce di madre mancata
e il suo casino d’inchiostro,
quella dannata colpa di solitudine.

(Da Casa mia non ha le ringhiere, Ensemble 2020)

Davide Zizza, Un filo mi separa dalla salvezza

Un filo mi separa dalla salvezza
del giorno: l’ombra di un edificio, il sole,
rumori e voci si avvicinano e poi sfumano,
motori di barche rimbombanti nel porto,
latrare di cani randagi, il moto di una bicicletta,
il caffè, un profumo –
tutto questo può essere la soluzione,
tendere l’imboscata all’epifania,
sciogliere così il piombo dell’aridità.

 

(Da Piccolo taccuino occasionale, Edizioni Ensemble 2020)