Quando sarai, immobile e stecchita
e della vita nella fredda bara
rimpiangerai la chiara luce, tutta
dai vermi rosa e brutta,
sfatta le guance e nera di mascara
tetro le ciglia, piangerai le foto
urlate al mondo indifferente e ossate
le dita frugheranno
tra i fetidi vapori del tuo azoto,
tra i vermi multisquame,
non già l’abbraccio dolce di un legame,
ma il ricordo remoto di beltà,
ma il click del tuo livore,
la vanità e il suo vuoto,
– sento scricchiarle all’astio che ti assale –
per non averti fatta né immortale
né vana eternamente.
(Inedito)