Sarebbe oltremodo osceno
se tu ora bussassi alla mia porta
e dicessi: – spogliami, sono un cane
abbandonato dai rifiuti – se mi dicessi
ancora – cara, spalancami le ossa
di cerva e scarpina piano il Monviso
fino al ventre. Sarebbe così osceno
se bestia mi parlassi del Gange
(scorre duemilacinquecentodieci
chilometri in lunghezza verticale
dalle tue gambe ossute magre)
scale saliranno alzate – ma ora taci
e oltraggiami la mente di parole
e dissetami sfamami guardami
e certamente tracotante e oltremodo
insolente ancora sarebbe se ti dicessi
svelami e levami il peso di sopra
e fammi megera fammi cerbiatta
fatti vecchio conoscitore di arti
di corpi di steli di grano di sorti
fammi odorare i morti dammi
i tuoi bianchi abiti sporchi
da lavare – dammeli! e poi
inchinami al tuo altare di lecci
veniamo di unghie gli specchi
col rosario aduliamo i risorti;
ma restiamo a terra (tacciamo)
che l’oscenità si faccia ramo
d’ulivo certezza di un’altra nottata
spenta e senza – mattina
senza penitenza.
(Inedito)