Andrea Lanfranchi, alle 6 di sera

Le sei di sera: un’ora stanca
– e la canicola ha inghiottito
un urlo amaro nel suo morso,
l’aria ferma tra le pareti,
gli elementi ferrosi, le cisterne
quasi vuote nell’arsura
– ha fissato l’eco di un’imprecazione
reiterata come un grido in un crepaccio

S’asciugherà in un verso
il disamore alla fatica
– che gridi pure (mi dico)
dai più alti spalti ustionanti parole
Se c’è chi le raccoglie
sarà il più fortunato

Poi ricomincia il ritmo del martello
in solitaria percussione
Volto le spalle e ascolto
nel cerchio chiuso del cantiere

(Da Cantiere in luce, CFR Edizioni 2014)

Andrea Lanfranchi, nel buio delle fondamenta

La benna della ruspa esiliava la terra
dal suo letto calcificato
a metri cubi (migliaia), per scovare
il sodo del sedime,
il buio delle fondamenta, nel poligono
della recinzione

Questo è un posto per scavare nell’ombra
– mi dicevo

Le palificate trivellate sotto
il ciglio della strada
sembravano ossa del giurassico
scarnificate, segni
di una tangibile evoluzione

Il resto di ciò che manca
– pensavo

E fu nella geometria prescelta,
in approssimazioni di calcolo inerziale,
che l’edificio crebbe

La natura stratificata del suolo
era l’alloggio di un dio da ingabbiare
nel ferro della costruzione
– un dio sfuggente, che fa sussultare
la terra, tremare il sangue,
gemere le vene

 

(Da Cantiere in luce, CFR Edizioni 2014)

Andrea Lanfranchi, Di notte la montagna

di notte la montagna è uno spettro, i colori
solo una vaga interpretazione del pianeta
– la nostra perizia nel guardare
viene messa in dubbio infinite volte, solo
si può immaginare e solo nell’assuefazione
al dubbio trovare un margine di certezza,
là dove dubbio è il sentiero dubbio lo scendere
piuttosto che il salire
ambigua la percezione del corpo che attraversa
rumori compiutamente fragili, il silenzio
saturo, e bruno
i sassi aumentano la loro consistenza diventano
più soli, fremono, cedono il loro monito
il loro eremo di suoni: schiantano nei precipizi
ricordando le note più basse
o recitano in noi il mondo in lasse

 

(Da La voce obliqua, Arcipelago Itaca 2018)

Andrea Lanfranchi, Un mattino piccolo

il sole affiora sulle rocce e scova gli uomini, giù in basso
densi tra le case
in un mattino piccolo di un giorno qualunque
come un dio minore trovare la luce che incanta
gli occhi, incagliare in un’ombra di passi
è nelle valli la vita tra questi monti dove i vecchi
hanno la loro tana come i tassi e le donnole vispe
e le pietre cambiano colore nell’arco del giorno e il vento
è una sfinge e abbandona chi ascolta e resta muto
di fronte al suo vessillo
cosa cercate voi sul dorso dei giganti? – cosa vi spinge
nella fatica di salire per poi cedere alla stanchezza?
c’è un’erba magra qui tra questi sassi, e una terra dura
e rugginosa e lucertole e serpi che serrano le pupille
come lame
solo ciò che vedi è nel buio tra i boschi che ammantano
le pareti, e questo è quanto basta per chi sale e si sporge
oltre la vita: camminare e non altro, divenire ciò che si è
e nulla di troppo

 

(Da La voce obliqua, Arcipelago Itaca 2018)