Gregorio Tenti, Si muovevano bene perché figli di carnefici

Si muovevano bene perché figli di carnefici, come la mano senza appetito della specie cui appartiene il presente. L’evoluzione ha tollerato lunghi sforzi e grandi voli; poiché certo è più facile sperare

(Da Corpi sommi, Transeuropa Edizioni 2020)

Gregorio Tenti, Sognavamo un apparecchio automatico

This is where the serpent lives, the bodiless.
(Wallace Stevens)

sognavamo un apparecchio automatico, un respiratore
lo splendore autonomo delle facoltà trascorse
fuoriuscito dalle crisi precedenti, il serpente
del vetro gli uffici caldi d’esistenza
fino alla bestia più orale
che dall’area calma si possa non tornare
il carico di vetro osceno e sorridente
nelle biblioteche di Verona e in Via dei Volsci,
il tuo esistere futuro inavvertito: tutto il cortile
consiliare è passato da qui; i tessuti umani
sono quasi incomprimibili

(Da Corpi sommi, Transeuropa Edizioni 2020)

Gregorio Tenti, posso essere lasciato al luogo come vetro

posso essere lasciato al luogo come vetro
e posso vedere il mio ritrovamento
mentre il resto fatica a tornare
a tanta percezione, posso
percorrere ogni grammo condiviso
e degradarlo in ferro, stella di ferro degradata

(Da Sirima abitale, Opera Prima 2015)

Gregorio Tenti, Corpi Sommi

la vasta pace lancinante va lasciata
alla nebbia usata non occorre
disperdere in parti materiali ciò che si ripete
giù dai fianchi vividi e all’interno
nei vicini osservanti e i parenti
come urla nel latte, questa buonora
d’aria grave e variante riconcessa…
anch’io ti ho visto eri una singolarità molteplice
adoperarsi a farti scintillare
gli elettrodi esausti e Ollapick sul piano
che in vita ti conteneva per ampiezza
la memoria presa per il collo circolava
fino alla mobilitazione permanente, tutto era spiaggia
e aerea memoria ai bagnanti corticali
lungo le urlate località, e bande mute di rame in rame
e Ollapick e tu miracolo sul piano
traiettoria del miracolo e piega d’occhi

*
venire i corpi generali alle giovani mura, e i crani già murati per le parti vaghe e tra le putride offerte, svegliarsi e parlar breve nei medicamenti gelidi, sfuggire a quasi tutto nello slancio, decade la vita in comune, e il travaso comincia nel più improbabile, ad Atene gli animali mi sorridono; accettare le virtù che maggiormente si concedono e non affannarsi dunque dietro al tempo ma al contrario; non tornare indietro sulle scale dell’immenso scivolo e vedere dietro te gli acini d’anima che aspettano la felicità senza fine, promessa dalla lunga coda per la cima, dove sospirano l’aria e la gomma insieme; le spalle corrispondono nell’altissima fuga, il lato è un gelido germoglio, il raggio un asciutto corso, ma al contrario

*
cominciare dalle stesse serre, dalle nicchie comuni e fondamentali dove tutto è nostro e realizzato e non c’è retorica di cui non ci si accorga, mentre il caldo storpia e dove converge la mano, insopportabile infatti alla vita, per la facoltà di ascoltare che eserciterai e potrai finalmente esercitare, promesso; quassù l’incanto attuale e inevitabile diminuire nell’esteso fino alle lacrime annuali e alla fame senza resistenza e alla dismisura, e riservate anomale sorgive; ripetimi fondali con incerto seguito, a cui passi i mali più veri: soffoca i tempi preesistiti ai fianchi di rena in cui converge la mano, distilla un fiume, per alcune alterne atmosfere: dare lume; creature senza peso e in se stesse chiare frasi, spazi gravi, corpi sommi e generali e non in quanto forse lo si vuole mai

 

(Inedito)