Daniele Bellomi, thermal treasures

thermal treasures

in immersione, posto per definizione a zero, avrà luogo qualcosa
per tensioni, scosse, minime terminazioni. per arco e ritorno finisce
ad aprirsi un accesso marino: una massa viva e segnalante, minata,
una flottazione massiccia, i gesti di violenza, lo strangolamento,
il particolare consacrato in vicinanza al punto di osservazione
del natante – he has not confessed, he has made no statement,
charges of murder have been accepted against him – nell’atto
di riconoscimento della deriva. da polo a spigolo, da bordo a fuga
termica ne sente lo sbaglio, l’incremento, il pericolo, il corto
inevitabile (a latere di vita, ovviamente), la steccata, il sistema
di alimentazione del presente giunto a riva, in retromarcia
nella secca, nel difetto di energia che adesso può disperdere.

 

(Da La parola informe – esplorazioni e nuove scritture dell’ultracontemporaneità, Marco Saya Edizioni 2018)

Daniele Bellomi, Una litosfera

una litosfera, una percorrenza, un’anagramma informale, quasi
geografico, le giornate a mietere, in maturazione, alla ricerca
di uno scampo per passaggi paritetici, elencati: così, in qualche
modo, è un’immersione, sì, per modesti cenni e deterioramenti,
una stratificazione, una mancanza di fiato, un levare, una messa
a terra della morale, un differenziale di altitudine, un calibro
fissato nel conciliare il qui, nel dire il più a ritroso. concedersi
alla parte del dileguo non sarà possibile nel darsi degli ammassi
aperti. l’abuso è nell’andare giù, dove le forze meno calibrate
non ne possono ripetere, alla strada, alla stratigrafia accidentale,
attesa all’amnesia, all’apertura amniotica, un lavare, un difetto
acquisito dall’aura, un risultato di accesso pronto allo scarto:
ciò che accumula e ammonisce è preso al posto dell’immune.

 

(Da La Parola Informe, esplorazioni e nuove scritture dell’ultracontemporaneità, a cura di Sonia Caporossi, Marco Saya Edizioni 2018)

Daniele Bellomi, not less than equal

sia il meno lieve, sia un programma che non serva, e che sia
tutto e sia per niente, minuto, preghi per meno dell’orribile,
fatta per fluirne l’aria del copione e concentrarla in emivita,
nel metodo invisibile che vede avanti, dove c’è. che conti,
o lo riguardi una frazione incontrollata e messa in atto,
in giro lungo, posta ad esserne contatto, conta, parte creata,
e prima che sia niente può procedere. non guarda su, poi,
nel data center se lo elimina da sé: ne è l’effetto, creatura
elargita dal punto mura al vuoto che ne spiega, e punto,
è bene e sa, ne ufficializza il nome. disperderlo, per dire
che è finito, dando indizi, parti di volo che non perde,
facendole amate, fatto niente, nella macchina che segue
un’interfaccia familiare e lo protegge. salvo ancora, pare
nuovo quando piomba addosso, arriva al seeding, dentro
la sua nuca in base al conservarne ricorrenze: lunga e lieta
sia la meno lieve, in fase, staccata alla radice, riponendo
quel che c’è del suo futuro. se poi è meglio non sapere,
sì, la predizione, e farne esperimento, rivederla mentre
addebita, comprende, adesso in là di più, come dal vero:
permettere che tutto sia nell’odio, sapendone dell’ora.

 

(Inedito)