Rodolfo Vettorello, Per una volta, l’ultima, da solo

Una mattina come un’altra, all’alba,
si partirà per andar via di qua.
Insieme come sempre
per il solito viaggio all’altra casa.
Le sette per entrare in autostrada,
vedere il sole sopra le risaie
velato da una nebbia mattutina.
Accendere la radio
per le notizie di viabilità.
Un cappuccino all’area di servizio
e poi di nuovo in viaggio
agli ordini precisi di un TomTom.
Viaggiare insieme
e vivere gli istanti di una vita
in parallelo, senza differenza
tra me che penso solo ad arrivare
e te che ti abbandoni a un sonnellino.
Restarsi accanto e poi così vicini
come si sta in un vano d’ascensore.
Sentirsi respirare e darsi noia;
tu che pretendi aperto il finestrino
ed io che mi affatico
ad ascoltare il mio giornale-radio.
Essere in due, tu accanto a me
che sto di qua da te.
Così vicini
ch’io sento quasi come
il cuore tuo battesse dentro me.
Una mattina come un’altra, all’alba,
si partirà per andar via di qua.
Passato il tempo d’oro delle mele
verrà la volta di partire solo
e non sentirmi accanto
il cuore tuo che batte dentro me.
Sarà così, per una volta ancora,
solo una volta e l’ultima e da solo.

 

(Da Le fragili imperfette geometrie, Leonida Edizioni 2015)

Rodolfo Vettorello, “Tutto, si sa, la morte dissigilla”

(Citazione da “Le sei del mattino” di Vittorio Sereni)

Troppe le mani in croce da baciare
e tanti gli occhi chiusi e i visi bianchi
e quanti i corpi ancora da lavare.
La morte non ci lascia dignità:
ci svela come siamo e ci presenta
nudi ed inermi, come siamo nati.
“Tutto, si sa, la morte dissigilla.”
Si aprono le porte della casa,
si entra nella stanza disadorna
dove sul letto grande sta disteso,
vestito del suo abito più bello,
un uomo che viveva nel palazzo.
Si stringono le mani dei vicini,
si scambiano sorrisi e ci si dicono
frasi consuete, per la circostanza.
Ho visto troppe morti e troppe lacrime
e ho stretto troppe mani con le mani.
“Tutto, si sa, la morte dissigilla.”
Io posso solamente immaginarla
la morte in cui sarò protagonista.
Aperte le finestre sulla strada
e spalancato l’uscio della casa
s’offre alla vista
quello che ho più caro,
i libri aperti sulla scrivania.
Il corpo scarno non avrà segreti
al modo di quel giorno che una donna
mi ha partorito.
Solo per pudore
vorrei mi si lasciasse come sono,
le mani in croce sul vestito buono.

 

(Da Le fragili imperfette geometrie, Leonida Edizioni 2015)