Claudia Zironi, Se tu fossi il vento io

Se tu fossi il vento io
starei ferma
tra le lavande di giugno, immobile
con abiti ampi, bianchi di bucati antichi
ti lascerei passare, aperta e sorridente
come scampata
alla storia, agli anni, alla fossilizzazione
degli ammoniti, ti lascerei entrare
sotto i cotoni nascosti, tra le pieghe della gonna
ti lascerei rubare ogni profumo – terra della terra
fiore di ogni fiore – vento mio, mio sole – ti donerei
questo nostro nuovo tempo passato.

 

(Inedito)

Maria Benedetta Cerro, Relatività di un incontro

Io vivo qui. Tu non cercarmi altrove.
Nel luogo dove i sogni sono arbitrio
di pensiero, nello spazio in attesa
di un tuo gesto, fra i molti andirivieni
al banco della gabella. Sappimi
nella scienza inesatta dei tributi
nella perduta unità che diseque
fa l’opera e la vita. O non cercarmi
e mancherà il tuo segno all’uscio schiuso.
E se il tempo che resta è questo insulto
a una protesa immagine di festa
potremo ancora imporci una misura
cercarci in qualche minima certezza
e sia giusto lo spazio, giusto il vuoto.

 

(Da Licenza di viaggio, Edizioni dei Dioscuri 1984)

Gabriele Sebastiani, Nel pugno della mano che non apro

Nel pugno della mano che non apro
conservo del discorso ogni pilastro
come tappo di sughero infiammato
ogni spazio percorso con te a fianco
dal semaforo alle buche sull’asfalto
ripongo, patto segreto, ogni graffio.

È solo che un divieto arso alla gola
in questo poco impasto ci costringe
a scrivere, storditi, ambo le braccia
questa storia d’amore senza storia.
Nel pugno della mano che spalanco
c’è tutto un corollario di intenzioni.

 

(Inedito)

Enzo Campi, Phénoménologie

etc
et
e

la progressione in calando aiuta non poco.
ma noi sappiamo che non ci si può imbastardire
praticando la logica formale.

l’unica procedura di risoluzione è un
anello
potenzialmente neutro.

 

(Da Phénoménologie, stampa in proprio a cura del Comitato promotore di Bologna in Lettere 2015)

Germana Dragonieri, Tornare alla madre

Quando Roma non è la città
eterna ma un volto scomposto
che chiede l’ordine, il dono
perfetto della circonferenza.
Chiedeva una solitudine chiusa,
un partire che fosse tornare.
Non era eterna Venezia
e nemmeno città, ma un centro
ingannato che tutto deraglia
centrifugo fuori di sé e all’interno.
Chiedeva il principio,
una fine che gli fosse uguale.
Aveva una forma diversa
dal suo bisogno quel gorgo
e spigoli e scale e dirupi, forse bastava
morire alle svolte, di un sonno
uguale alla madre
sfinita che ha protetto troppo.
Invece era vivere ed era negare:
la vita era lì ma non
lì, più da vicino, dove s’avventa
il colpo interiore e si avvera.
Chiedere di non aver chiesto, dimenticare
di avere cercato
lungo il fondale che dava la nascita,
un grembo al contrario
per tutte le cose lasciate.
L’arrivo è una fine ma attende
muto un appello, un parto
da fuori a dentro, l’essere identico
al proprio accadere.
Come la fondamenta
Venezia proteggi dal basso
madre non farti
vedere.

 

(Inedito)

Maurizio Cucchi, Balcone

Seduto come un vecchio sul balcone
guardavo con invidia le volate
e poi le ricopiavo sul pavimento rosso.
Lei, forse offesa per la mia luna, mi diceva:
“Non c’è la mamma, ma è per poco.
Sembra che qui sei sulle spine,
ma perché?”

Perché c’è un arco chiaro, un’ala enorme
che ci tocca dentro, e io divento
quest’abulia sospesa e questo guscio
pieno di fessure.

 

(Da Poesia della fonte, Mondadori 1993)

Patrizia Valduga, Non mi piace il tuo stile da mistero

“Non mi piace il tuo stile da mistero
e reciti te stessa molto male.”
Il sogno è l’infinita ombra del vero
e spesso è più reale del reale.

 

(Da Cento Quartine e altre storie d’amore, Einaudi 1997)

Amelia Rosselli, Tutto il mondo è vedovo

Tutto il mondo è vedovo se è vero che tu cammini ancora
tutto il mondo è vedovo se è vero! Tutto il mondo
è vero se è vero che tu cammini ancora, tutto il
mondo è vedovo se tu non muori! Tutto il mondo
è mio se è vero che tu non sei vivo ma solo
una lanterna per i miei occhi obliqui. Cieca rimasi
dalla tua nascita e l’importanza del nuovo giorno
non è che notte per la tua distanza. Cieca sono
ché tu cammini ancora! cieca sono che tu cammini
e il mondo è vedovo e il mondo è cieco se tu cammini
ancora aggrappato ai miei occhi celestiali.

 

(Da Variazioni Belliche, Garzanti 1964)

Davide Morelli, Il negozio

Quel modellino di leudo
se ne sta su una mensola.
Il pupo invece in soffitta.
Io vivo nel sottotetto.
È la legge della domanda e dell’offerta.
Un tempo passavamo
tutti insieme il tempo
in un negozio di mobili,
abbigliamento e oggettistica.
Poi è venuta la crisi ed è stato chiuso.
Non abbiamo fatto debiti.
I mobili erano in conto vendita.
Ma ora siamo tutti a casa.
Non ci vuole più nessuno.

 

(Inedito)

Andrea Zanzotto, Elegia Pasquale

Pasqua ventosa che sali ai crocifissi
con tutto il tuo pallore disperato,
dov’è il crudo preludio del sole?
e la rosa la vaga profezia?
Dagli orti di marmo
ecco l’agnello flagellato
a brucare scarsa primavera
e illumina i mali dei morti
pasqua ventosa che i mali fa più acuti
E se è vero che oppresso mi composero
a questo tempo vuoto
per l’esaltazione del domani,
ho tanto desiderato
questa ghirlanda di vento e di sale
queste pendici che lenirono
il mio corpo ferita di cristallo;
ho consumato purissimo pane
Discrete febbri screpolano la luce
di tutte le pendici della pasqua,
svenano il vino gelido dell’odio;
è mia questa inquieta
gerusalemme di residue nevi,
il belletto s’accumula nelle
stanze nelle gabbie spalancate
dove grandi uccelli covarono
colori d’uova e di rosei regali,
e il cielo e il mondo è l’indegno sacrario
dei propri lievi silenzi.
Crocifissa ai raggi ultimi è l’ombra
le bocche non sono che sangue
i cuori non sono che neve
le mani sono immagini
inferme della sera
che miti vittime cela nel seno.

 

(Da Dietro il paesaggio, Mondadori 1951)