Manuel Paolino, Un’ultima notte insieme

Avevamo una chitarra di ron piena,
e la notte.
Mantello nerissimo appena appoggiato sulle spalle.
Avevamo poche sedie per pochi amici, gli ultimi.

Avevamo una chitarra di ron quasi piena.
Schegge di lampioni notturni riflesse sull’ambra.
Avevamo la ragazza comparsa
dal nulla a farci compagnia,
con i suoi lamenti,
le lacrime d’amore e il fuoco tra le gambe.

Avevamo una chitarra enorme di ron
molto piena.
Avevamo la nostra amicizia vecchia
ed eterna, estesa nello spazio dall’oceano
della costa dominicana
fin sopra le case al di là della frontiera haitiana.
Avevamo tutti i racconti, gli aneddoti, le risate,
che solo noi possediamo; noi e quelli
che non ci sono più ma che erano lì,

dentro la chitarra con ancora ron fra i vetri.
Avevamo la polizia che ci controllava poi,
infine, quella fanciulla con le curve
dure. Troppo dure
per il mio fratellino affogato nel ron.

Avevamo una chitarra enorme
con pochi sorsi e una croce sul fondo.
Avevamo l’alba.

Avevamo poche sedie
per pochi amici.

(Inedito)

Manuel Paolino, Stratagemata

Figlio, vi siano i poemi
di Omero – la ferocia di Achille,
la metis mortifera di Ulisse –
nella tua persona.

Avere un padre poeta, vedi,
non comporta alcun peso:
io sono come te,
e non serve somigliarsi in tutto
quando due anime sono così vicine.

Essere figlio di un poeta
significa però questo:
sii sempre forte e saggio;
sii sempre libero e te stesso;
coltiva il tuo valore, il tuo talento,
la tua ars;
apprendi gli strategemata, più ancora
di quanto abbia fatto tuo padre.

Figlio, scavalca tutte le ombre,
proprio come Annibale.
Sii il Barcide, che non temeva niente.
Sii il suo ingegno.
Ma se dovessi trovare Scipione,
scappa.

Oppure anche tu, infine, stavolta furbo,
incontra quel veleno: e che sia miele!

(Inedito)

Manuel Paolino, Soffio

Porte, teste e memorie, corridoi
Di analisi, fiammelle di vento,
Ceri accesi da un bambino,
Che guarda ogni arazzo,
Tutte le storie, gli occhi
Delle statue, meno i miei.

E Maria sorge e bacia
La preghiera notturna,
E il Signore solleva i letti
Degli addormentati dai nani
Del popolo dei nani.
Siete arrivate insieme, sciagure!

Ma dalla rete del pescatore ossuto
Soffio,
Soffiamo:
Bolle, bolle su!
Bolle, bolle giù!
Con quel dito indice che si allunga come Dio.

Con quelle pupille accese di presenza
Che non smettono di cercarmi.

 

(Da Vino divino, Lupi Editore 2020)

Manuel Paolino, La Sera

Polverosa cresta collinare
sugli inguini giallo-azzurrini in fila
a cavallo del liquido umido
balenare che rinasce d’autunno;
sentieri di labbra carnose
come moltitudine di righe
s’un palmo; tempia che pulsa;
bastone calmo nella mano stretto
dentro terra boscosa; cannocchiale
sopra un’ombra di tomba: vita
su una marcia fischiante
come crepuscolo di nave.

 

(Da L’idromele, Il seme bianco Editore 2017)

Manuel Paolino, Canzone del fiume e dei semi d’arancia

Stavo sulla riva col vecchio,
tra me e me un pesce morto
a pancia in su con una rotonda
capriola di luna spinse la corrente
con la coda fino a tuffare le ali
da una palpebra all’altra del chiarore
di vino rosso al fondo nero
dei nostri occhi in fila:

i miei e quelli di Mieses che come
i suoi versi pareva dipinto con tinta
di stelle, d’alghe, di una pena bianca
che lassù nel cielo non era la luna;

sputavamo semi d’arancia nel fiume,
il suo sorriso era dolce
come quello dell’arcangelo bambina
che voleva essere sirena salata
e non si mangiava le unghie.

Quanto ho amato la cristalleria
sorta da quelle labbra di raggi
doloranti!

Sputavamo parole rotonde
nell’acqua del fiume:

– mi insegnavi a costruire
la statua di me stesso sul tempo.

(Da L’Idromele Parte Prima, Il Seme Bianco Edizioni 2017)

Manuel Paolino, Con il mio amore con un amore in grembo

Εἰμὶ δ’ἐγὼ θεράπων μὲν Ἐνυαλίοιο ἄνακτος
καὶ Μουσέων ἐρατὸν δῶρον ἐπιστάμενος.

Finché non ti vedrò correre con un
ramoscello di mirto e un bel fiore di rosa
non ti chiederò di custodire il mio
Archilocheion.

Per te che nascerai.
Ho visto le montagne del Parnaso aprire
gli occhi dalle strane forme d’acqua e
galleggiare riempiendo valli strette tra
l’oro scuro; ho sentito lo sbattere bruno
lucente echeggiare dal passato fra quei
colossi; e il sangue d’una capra ricoprire
l’aria di una piccola tenuta poi, le vesti
d’una donna vibrare s’una collina intera.
Mille sogni che si mischiano insieme
come in un boccale di Nestore, fulminei
compaiono nel mio animo quando in un
lembo libero di spiaggia calpesto pietre
antiche, sopra le quali tra i flutti, vivono
ancora le memorie di tutti gli eroi, degli
opliti, e le gocce – di sudore e lacrime –
dei rematori e delle donne d’Atene.

Baie racchiuse in un cratere di vento,
che si presenta al corpo senza nessun
permesso; costante lui non cede, né
infastidisce la sua spinta ch’appare
sempre una carezza e mai uno schiaffo;
eppure accende tra le sue vene correndo
privo d’incertezza la melodia delle glorie,
e dei suoi giochi, comandati dagli dei.
Sono passato per le strade di Atene con
nascosto il viso dal mio elmo, stretto alla
mano del mio amore con un amore in
grembo tra il mercato dove l’oro diviene
aria fino al copricapo roccioso di Ares
sotto il tempio, dove per due volte sono
morto e poi rinato; dove nel tuo Caos il
sole e la polvere sono arrivate insieme.

(Da L’idromele Parte SecondaNuove Poesie – Mortali e dei, in uscita editoriale l’anno prossimo)