Luigi Vallebona, La rosa e la vite

Sei come la rosa cresciuta
Accanto ai filari
Che cade malata per prima
Di cancro delle radici
Di male bianco, di muffa
Grigia
Perché siano offerte le cure
Precoci alle piante del vino.

Hai i nodi di linfa infetti
Sentinella dei morbi
Se è vero che tutto si tiene
Giovane piena di grazia
Sfiorisci perché siano ebbri
Di vita i tuoi cari
Così come salvan le viti
Splendidi petali spenti.

(Da Il ritmo del mondo, RPLibri 2018)

Fabrizio Morlando, Assolto con formula vuota

Assolto con formula vuota:
leggerezza ribelle,
immagine e visione allo zero assoluto,
serbatoi colmi di colpe a buon prezzo.
Mani legate a punto croce.
C’è del romantico nello sparpagliare carte
sul tavolo, dare nomi nuovi a cose vecchie,
una mano di bianco su pensieri diroccati,
calchi di gesso dentro la bocca. 
È così commovente in fondo
perdere e tentare
di riacciuffare il tempo
nella danza claudicante del mondo.

(Inedito)

Antonietta Bocci, Incroci obbligati

Lei è ape di sé ignara,
ali cristalline dal peso
micidiale, ventre strappato
via ancor prima dell’Errore –
volando eterna dentro un cielo
d’aquiloni confusi, insegue
i suoi sfuggevoli E se invece…

Tu sei bacca di neve, fiero
grappolo di spensieratezza,
fiori bianchi concessi in dono
a chi era disposto a rischiare –
Le tue impazienti capriole
di risa son prova carnale
d’imperscrutabile destino.

Lei è gioia che strazia, vuoto
a cui mi aggrappo mentre affogo
nella memoria di nottate
di cemento. Tu sei splendore
che sorge verso Nord, azzurro
sguardo in un corpo eneo, figlia
d’un sogno che non mi appartiene.

(Inedito)

Bartolomeo Bellanova, La lenta prateria

La lenta prateria
di cotone del cielo
si sfrangia in cupole e torri

fiabeggia carrozze senza nocchiere,
galleggia sopra un distillato di luce.

È la saliva dei morti
rimasta sospesa
tra l’esofago e il buio

nell’attimo esatto
dell’ultimo squillo di tromba.

È l’espirazione dell’agonia in faccia
alla finestra unta del mondo.

È l’Iliade degli inganni senza
cavallo di legno.

È l’Odissea tessuta di notte
al telaio dei rimorsi
e ripiegata di giorno
nel portafoglio.

È il Cantico dei Cantici,
stonate memorie
dei corpi amati
e delle pelli.

Quaggiù le formiche operaie,
le regine e le puttane
vanno avanti e indietro

ignare dei poemi del cielo.

(Da Diramazioni, Ensemble 2021)

François Nédel Atèrre, È sopra il muro il memento

È sopra il muro il memento, per poca
cosa che sia, del giardino di casa:
un pezzo di mosaico. Gli anni buoni,
imparalo, hanno i loro riti. Vanno
per strade torte, nell’acqua dei rivi
schiumosa, per le crepe dei mattoni.
Te li ritrovi coi vestiti nuovi
lungo le scale, a volte sulla porta
socchiusa. Fingono di non vederti.

(Da Limite del vero, La Vita Felice 2019)

Gabriele De Simone, Per trovare qualcosa

Per trovare qualcosa, scava.
Non negare una parte, accendi
tutti gli interruttori. Guarda:
una la luce, uno il coro, demoni e pagliacci.
Mm’avite fatto male e lu sapite.
Torneremo i cardini mutuali
del tavolo bianco che si fece altare.
Torneremo ad osservare la religione dei corpi.
Se il destino è scolorire saremo alberi.
Mm’avite fatto male e lu sapite.
Non era colpa mia se non riuscivo a dormire,
se sono mozze le radici che ho potuto darti.
Non era colpa mia quando ti alzavi tardi.

(Inedito)

Sebastiano Adernò, Analisi del dolore

Analisi del dolore, massa a terra,
nella notte in cui fu prescritta la tempesta.
I testimoni asseriscono d’aver visto
lo stesso Dio abdicare per un paio d’ore.
Come cadeva il taglio, così colpiva
la spada. Tu vestita della parola
che acceca la fiducia con nuovi indovinelli.
Io finito. Che consumavo il muro.

(Inedito)

Elisabetta Destasio, La resina troncale

la resina troncale
dal larice
suda per dare voce
ai morti

tu, di ordinaria assenza
ricami uno sguardo
sul sentirti venire

il tentativo cade a goccia
sopra al fiorire inerme di pervinca
viola notte,

immobile: il vuoto.

(Inedito)

Ciro Ferraro, Esserci di me

Esserci di me, ciò che non t’ho detto
profuma parole beghe – ordite
s’una conocchia logora
(nei pomeriggi estivi) filari di luce
tra i nocciòli di un prato arso
tessono polvere nella canicola agostana –
tanto meglio aver taciuto
gli orli sazi d’un’amara confessione.

(Inedito)

Federico Pinzetta, Alla fine ogni disfarsi

Alla fine ogni disfarsi
è diventare nessuno,
disseminarsi di corpo,
alla nudità di un sudore che ci barcolla
nel piacere della pelle d’oca e di chi
non c’entra più
ci vediamo morti e liberati
nel domandare,
così morti e sparsi
da essere vivi e sacri abbandonati
vivi come solo le solitudini.

(Da Il travestire dei geli, RPLibri 2020)