Quando Roma non è la città
eterna ma un volto scomposto
che chiede l’ordine, il dono
perfetto della circonferenza.
Chiedeva una solitudine chiusa,
un partire che fosse tornare.
Non era eterna Venezia
e nemmeno città, ma un centro
ingannato che tutto deraglia
centrifugo fuori di sé e all’interno.
Chiedeva il principio,
una fine che gli fosse uguale.
Aveva una forma diversa
dal suo bisogno quel gorgo
e spigoli e scale e dirupi, forse bastava
morire alle svolte, di un sonno
uguale alla madre
sfinita che ha protetto troppo.
Invece era vivere ed era negare:
la vita era lì ma non
lì, più da vicino, dove s’avventa
il colpo interiore e si avvera.
Chiedere di non aver chiesto, dimenticare
di avere cercato
lungo il fondale che dava la nascita,
un grembo al contrario
per tutte le cose lasciate.
L’arrivo è una fine ma attende
muto un appello, un parto
da fuori a dentro, l’essere identico
al proprio accadere.
Come la fondamenta
Venezia proteggi dal basso
madre non farti
vedere.
(Inedito)