Germana Dragonieri, Tornare alla madre

Quando Roma non è la città
eterna ma un volto scomposto
che chiede l’ordine, il dono
perfetto della circonferenza.
Chiedeva una solitudine chiusa,
un partire che fosse tornare.
Non era eterna Venezia
e nemmeno città, ma un centro
ingannato che tutto deraglia
centrifugo fuori di sé e all’interno.
Chiedeva il principio,
una fine che gli fosse uguale.
Aveva una forma diversa
dal suo bisogno quel gorgo
e spigoli e scale e dirupi, forse bastava
morire alle svolte, di un sonno
uguale alla madre
sfinita che ha protetto troppo.
Invece era vivere ed era negare:
la vita era lì ma non
lì, più da vicino, dove s’avventa
il colpo interiore e si avvera.
Chiedere di non aver chiesto, dimenticare
di avere cercato
lungo il fondale che dava la nascita,
un grembo al contrario
per tutte le cose lasciate.
L’arrivo è una fine ma attende
muto un appello, un parto
da fuori a dentro, l’essere identico
al proprio accadere.
Come la fondamenta
Venezia proteggi dal basso
madre non farti
vedere.

 

(Inedito)

Germana Dragonieri, Sentinelle

Dicono la strada pare che si ostini
a non condurre.
Loro contano a due a due,
non vedono la morte nel burrone
né del muro badano alle scritte
se unicamente sembra esistere
il viale che lo serra.
Certo il treno è solo un treno
non già una partenza.
Alla fine la poesia non è un’azione –
se continuano a mirare
noi e non questo spazio che ci lega.
Ciò che lega non unisce
né avvicina –
sembra uguale a separare.
Non serve che si tocchino le ombre
dilatate quando i corpi
prendono distanza.
Il cordone è già reciso
non c’è giustificazione a questo
piangere:
non importa più a nessuno
ciò che non accade.

(Inedito)