Emanuele Franceschetti, EINGEDENKEN

un suono familiare oltre la porta, un minimo segnale in uno spazio
circoscritto. segno che non possiede volto o nome finché memoria e udito
non agiscano in piena sinergia
(amygdala è una mandorla nascosta nell’encefalo, le stimolazioni
improvvise del mondo circostante vengono rilevate e rubricate
riportate nel seme, al palinsesto)
questo lascia riemergere qualcosa
che sempre mi tormenta. anche se ora, nel tentativo di focalizzarlo
con precisione massima il pensiero incontra variabili e deviazioni.
cerco di rendere virtuosa e rapida questa prestidigitazione, invano.
inevitabilmente fuori tempo, la traccia scritta che inseguivo cede
all’ennesima irregolarità. il suono-segno torna al suo riposo.
eppure che miracolo d’assurdo la mente che nasconde e custodisce,
tutta una vita intera. (ora è riemersa una malinconia domenicale,
un odore di polvere e velluti, e quello insopportabile d’ inchiostro
dei quotidiani, quando mi sembravano strumenti adulti di separazione.
questo subito la mente lo stringe e lo comprime dentro un fotogramma
che non è memoria: è fulminazione, sospensione breve del tempo-assenza,
e dunque ricomparsa, e dunque)

(Da XV Quaderno italiano di poesia contemporanea, Marcos Y Marcos 2021)

Emanuele Franceschetti, il luogo dove tutto risolve

Il luogo dove tutto risolve deve essere una metafora,
un ponte – questo pensi,
schiacciato nell’ordigno autostradale,
tentando un’evasione metafisica –
ma il mondo non conosce la tua lingua,
le cose stanno e basta – segni nell’incunabolo,
forme della mancanza.

(Inedito)

Emanuele Franceschetti, Partire da un’immagine

Partire da un’immagine. Sapere
che nulla capovolgerebbe il nastro, che domani
altri occupanti abuseranno del dormiveglia,
delle meditazioni dentro i treni. L’immagine resiste.
L’illusione di ricostruire un corpo, una disposizione di
oggetti,
un umore di pioggia, il lascito di una telefonata.
Un nucleo a malapena si conserva:
un codice di segni universali, una radice.
Accorgersi del mondo, del suo scorrere.

 

(Da Abitare la parola, a cura di Eleonora Rimolo e Giovanni Ibello, Ladolfi Editore 2019)

Emanuele Franceschetti, Il vecchio professore

il vecchio professore siciliano riflette su discorso e costruzione,
la sua orazione è teatrale, ieratica. la fine germina naturalmente
da saturazione da stanchezza, cita mostrando la chiusa di una partitura. Non s’accorge
che la parola ha sorpassato il limite della lectio su Adorno e l’avanguardia,
non pensa alla sua fine. Non ricorda in quest’ora luminosa che oltre
la matematica dei suoni avanza il suo secolo prossimo al congedo.

 

(Inedito)

Emanuele Franceschetti, Sei un volto che il mio volto riconosce

Sei un volto che il mio volto riconosce.
Siamo tempo ferito al suo affacciarsi,
il primo colpo freddo dell’autunno
che rinserra i muscoli,
che ricomprime e scioglie il sangue.
Siamo creature rivelate al mondo
dalla chimica degli atomi,
dal calco inconoscibile del cuore.
In questo, sì, ti riconosco ancora.

 

(Inedito)