Una donna canta, vestita di rami
coperta da bianche lenzuola
al centro del palazzo di acciaio
(che crollerebbe
in condizionali
sismici anni settanta)
Tanto amore richiesto mi chiedi
flessa che guardi, sei tu
di te parlo infatti, in terza persona
che osservi con gli occhi delle anche
(lo dice lo sguardo
del mio corpo cavernoso)
Impallidisci, ti piace, qualcuno
guardandoti imprime sulla punta
del proprio cuore (ancora mitocondrio
in abito vedo/non vedo)
un ricordo, riscaldato come le stelline
sul sofà nei lunedì sera in quella fame…
La mattina sei vestita di piume
la donna vestita di zucchero
che sorride alla finestra
mentre cinguettano i cancelli
La nostra camminata sottile
quella che è mare anche lì
dove il respiro diventa onda
e sa di imitare le acque
Tiene conto che nel momento
in cui poggiamo le guance
alla bocca (sempre separata)
per pronunciare
lei, la donna vestita di rame
sorride mentre sgocciola
sussurra la catastrofe della volgarità
osservando il grugnito che mette
il silenzio irradiante le ceste
di voglia e calci sul tavolo
mentre il Sole batte forte
e c’è allegria dentro la stanza!
La tristezza, è matematico
gioca sempre alla rabbia
in un mondo dove qualcosa
esplode, la donna vestita
(Inedito)