Eugenio Lucrezi, Fratelli

a Bernardo Kelz

la fratellanza aggiunge alla rinfusa,
se fosti tolto fu per dare terra
a una nuova radice, non fa niente
se la voce che parla dice forte
di stare al posto tuo. Qui, riparato
date, il vento mi travolge. Abilitato
dal debito degli anni, prendo tempo,
convoco folle nuove al tuo cospetto.
Ma dare non è un dono, è la ventura
di chi nell’ecatombe chiude gli occhi.
Il tempo che mi prendo non mi è dato
da te, solo sfiorato nell’oscuro
dei sangui e delle lacrime. Nessuno
volle unirci nell’abbraccio. Ciascuno
per l’altro in conosciuto. Poco meno
di Dio, praticamente.

 

(Da Nimbus, Eureka Edizioni 2015)

Gian Paolo Roffi, Alter Ego

specchio ritardatario di coscienza
specchio d’adolescenza
profetica valenza:
questa immagine     questa
tarda risoluzione.
questa ripetizione
di sistemi abusati
di moduli rinviati
di ricorsi obbligati.
restano tracce avare     contenute.
si contendono mute
la doppia coerenza

 

(Da Intuizioni, Eureka Edizioni 2018)

Davide Cortese, Le mie mani, secoli or sono

Le mie mani, secoli or sono
furono tatuate sul petto
di un giovane marinaio di Lisbona.
(Stringevano l’elsa di una spada.)
E’ già accaduto
nella canzone di un vecchio di Baghdad
il bacio che io e te ci siamo appena dati
dicendoci: “tu sei il mio demone”,
“il mio demone sei tu”.
Qualcuno mi ha già conosciuto
a un ballo in maschera a Dresda
nel 1723.

(Da Darkana, LietoColle 2017)

Simone Consorti, Passati i quarant’anni

Passati i quarant’anni
sceglievo i miei uomini
solo dagli spermiogrammi
e dopo il sesso mettevo una croce
sul calendario e sui compagni
L’amore era solo un mezzo
perché la mezza mela
era già completa
anzi era talmente matura
che perdere tempo in coppia
lo vedevo come contro natura
Appena seppi la buona novella
andai a pregare
in una chiesa stupenda
Commissionai una grande culla a un falegname
e tre pigiamini ad un sarto
Ancora oggi mi sembra impossibile
di essere morta di parto

 

(Da Le ore del terrore, L’Arcolaio 2017)

Guido Turco, Lessico Improvvisato

Viene nel seguito una teoria del distacco
le molte analogie con le frane
crepe del viso inframmezzate
a un fluttuante desiderio di nidi e filari
che non hanno il fine
di questi così inutili versi
ma casi di luce calante

metafore già contenute nel diminutivo latino Lucilla in cui i simboli formano le atomiche unità per la costruzione di selve e città che fuggono l’arbitrio di essere attraenti perché quest’Io si dice tigre sapendo che i migliori son farfalle scorpioni nel pugno e istantanee versatili per quei lunghi percorsi di circostanza che modellano la voce del protagonista come suoni della giungla perché tu dorma un sonno profondo

e gli angeli custodi ci preservino
per una successiva rinascita
le sfumature del risveglio
l’idea di un brano fantasticamente suggerito da Debussy
sempre più profondo intermezzo o scorciatoia
quel tanto che basta per non opprimere
e portarci a un punto di svolta
di fronte al serpente cosmico

come la maga che trasforma i compagni in porci salvare dall’indistinto le più antiche pietre del destino la debolezza della verità che sa cosa vuoi sentirti dire qualcosa come richiamare l’immagine di una rosa ma non il suo profumo perché io non sono Telemaco nuovamente salpato verso il post-umano ma un’anima che si attira al momento cruciale

un’entelechia servita per introdurre teodicea
con quel sorridente distacco
che nasce dal lasciare le cose
prima che queste usino tanti nomi
e non si riesca ad apprezzarne la spogliazione.

(Inedito)

Fausto Paolo Filograna, Ti dedico la grandezza che non ho

Ti dedico la grandezza
che non ho. Quando il pensiero non vola, le parole
non sono una danza e tutto
sta in un riposo da nulla
nella notte che non è riposo dal giorno
né attesa ti penso, amore mio
e ti dedico il nulla. Il pensiero legge seduto
e mi inforca
come un paio di occhiali, vorrei
dirti l’amore che sento in questa paralisi
senza bocca seduto al balcone a questo paralitico
cenozoico
di albe ripetute a notti e notti.
Datti calma, fa’ silenzio, ascolta
un concerto di odori si espande
blu, verde, giallo
il canto dei colori – albeggia
tra i monti tra gli alberi – e fende lo sguardo
e l’immobilità. Dove tu sei
dove tu sei
un intrico di ruote si spagina
l’universo brancolando tenta nuovi
uguali cicli e l’alba
il sole in una distrazione di hangar
ci promette l’eterno. E noi?
Io tento una vita,
un nome a giorni innominabili
tento di alzarmi e di dire «…
…» vorrei
sorriso millenario rivolgerti mille parole
non c’è secolo per questo fastidio
né giorno che viene né notte che passa
c’è che a volte seduto al balcone mi sento fissare. Sento
l’enorme marchingegno guardarmi
non mutare mai da un tramonto
due cariatidi sembriamo, sprezzare il vento
la pioggia i fulmini, io con occhi
e tu no, mentre qualcosa dice
non finirà mai tutto ciò
finirà la carne
lo spirito
ma la volontà l’altezza io penso
a un risveglio, a un’alba
a un’aria freschissima e respiro l’immoto
svegliarsi delle cose e il mio
intentato, penso a un risveglio
a ipotesi e ipotetiche salvezze nell’alto
sospeso con uno sguardo a un balcone –
dalla bocca del mondo una lingua nel cielo –
è questo, mi chiedo? è questo il vento
della carne che soffia da dietro e mi spinge alle stelle?
Sentimi, amore che vai, pregherò
al Nord come l’ago di una bussola
con un corpo di albero sorriso dal vento
beato e immobile. È questo il nulla che sento
e mi ammala di me? miserere mei
me stesso, Fausto, miserere del nulla
del sonno, sogno
una luce impossibile rifarmi l’anima, fa luce
tra gli alberi, e una forza sovrumana
non sorge, Fausto, non è possibile
che la disperazione per noi. Sento un malessere
[sopra la pelle
uno sciame di strade che va perdendosi
e io mi chiedo dov’è dov’è, e mi risponde,
[l’impossibile stradario:
niente. Perché non più ritornare
non più ritornare è possibile – madre
da dove io uscii io torno. Nulla
sono, né sono stato né ho sperato di essere. Io penso
a un risveglio, all’infinito propagarsi dal balcone
gli alberi, al verde, senza muovermi dal mio balcone.
– Arri arri cavalluccio, un canto si propaga
e induce al sonno, all’eterno, e dormo,
nato mai nato, senza azioni e senza sonno dormendo.
[Io penso
a un risveglio, io penso
e mi dico: “senza azioni non esisti
Fausto, tu sei quello che fai” e intanto si sfa
[l’ambaradan
universale, mentre tutto ruota
il disastro. E penso al freddo su Plutone
all’invivibile vita di noi, alle risse
delle mosche, tutto
ridicolo.
L’umanità litigherà anche stanotte, io
sono solo un individuo
che un insetto verrà a visitare con sguardo umano. Vieni
gran madre e vattene, lasciami solo, che dica: io ho fatto
io sono. Intanto sogno inondazioni, precipitazioni
terremoti e morti e morti,
tutto sa di nuovo
la pioggia, dal mio balcone
il disastro, l’odore
il tabula rasa universale. Scivola vai via, lasciami
fare,
morire. È tempo,
sono grande.

 

(Da Persona, Giuliano Ladolfi Editore 2017)

Antonella Lucchini, A Falcate Acute

A falcate acute
trotta l’apocalisse del giorno.
Da quando caddi
e le mani divennero gambe,
al rombare sussultorio della sera
mi ripongo dentro le mie radici.
Lascio fuori solo un pezzo di pane
buono
perché si possa dire
ecco lo ha spezzato
si fa il miracolo
mentre lei torna larva.

(Da Il Femminino e la sua voce, Il Seme Bianco Edizioni, 2017)

Gianni Marcantoni, Minuti di attesa

Mi indebolisce il ritratto
del cranio seppellito sulla tua memoria.
Le luci stanotte sono ombre,
scendono fluide come capsule,
mentre un silenzio interlinea
le parole gradualmente mantecate
tra i minuti di attesa.
Tempo e aria si schiudono
miseramente sopra una lastra
gelida al tatto; i piedi sopra
vi camminano, camminano
e cedono lentamente al passo avido
che scorre e divide scavando
la pelle rossastra delle pose
decomposte – disumanizzate fino all’orlo.
E sento tutto il torpore di una
sola notte – come questa – espandere
gli occhi a sfera,
la coppa lussuosa della notte
ha versato la sua fanga nera
e grezza alla bocca.
Dove riposerai ci sarà forse
– un giorno – ancora un po’ di pace,
davanti alla tua solitudine, dove
il tavolo vuoto giace sotto la luce
centrale di una catena appesa
al soffitto, che ne fa da lampadario.

 

(Da Orario di Visita, Schena Editore 2016)

Paola De Benedictis, Pagliaccio

Ho posseduto un tempo
di straordinaria privazione
facendo della fame una costellazione
ed aquiloni con i tuoi avanzi.
[arroganti]
Ho corrisposto il labbro
al fucile degli indicibili occhi
e il palmo del bisogno che piega
alla stretta che fiacca.
[e sazia]
Ma quando è arrivata
come abbaglio la chiarezza
della tua consueta messa in scena,
ho lasciato la parte.
[all’ultima arrivata]
Ora, schiacciata sullo sfondo di me stessa
il vuoto dei tuoi trucchi
non ha nessuna presa.

 

(Da Cuore Fratto Zero, IlMioLibro Edizioni 2015)

Gabriele Xella, Le frontiere trattengono una veste d’organza che è accarezzata dal vento

Attraverso veli in cielo non più oppresso da una matrice di stampa
Sintomaticamente ti arrendi al puro vortice di Settembre
Stai piangendo, ti mordi il labbro nella rovina immaginaria
Le dita che porti alla bocca sotto un tetto di osservazione tra il filo spinato
Generano stelle gemelle venute al mondo
Anche se io non potessi raggiungerti alla foce dorata della fuga
Si manifesteranno le farfalle del desiderio nel mio giardino in fiamme.

(Da Regina immagine/Principe libertà, silloge inedita)