Canio Mancuso, Passeggiata del misantropo

Anche oggi rincaso intatto
senza ferite, nessun livido
sulla spalla né addosso
sguardi da questua mattutina
di cortesie tra vicini di prigione,
tutti gli agguati le pacche i sorrisi
che ho schivato con un solo gesto:
è bastato assentarsi
alla tenerezza predatoria
degli esattori di confidenze
ai fischi di chi non sa dire il mio nome
essere l’amico di qualcun altro,
è bastato voltarsi un istante prima
ritrarre i pugni dentro le maniche
per non rispondere ai buongiorno
domenicali delle ciglia, dei coiti.
Così per amarvi devo cancellare
le vostre orme sopra le mie
santificare il giorno di ogni partenza,
anche oggi perdonarvi.

(Inedito)

Canio Mancuso, Explicit

Nessuna mancanza è stata uno
sbaglio, non c’è stato un peccato
(non dico opere, certo omissioni)
che ti sembrasse un graffio sulla tela
o un errore nel disegno. Tutto quello che
hai dimenticato anche quello è l’indizio
di un giorno incarnato in un volto, forse
puoi riconoscerli i tuoi figli non nati, i baci
sulla punta di un’intenzione, l’avvenire
che intaschi solo quando lo immagini
mentre il resto vorrebbe solo esistere.
Tutto giusto, tutto dentro il solco, anche
ciò che non germoglia e non sente di
esplodere a un passo dagli occhi.

(Inedito)

Canio Mancuso, Il riciclo secondo lo spazzino

I testi sono chiari:
nello stesso inventario
l’anima e il congegno
l’organismo e il meccanismo
che si arresta le labbra
e il boccaglio il mantice
e il soffio tra i denti –
gli oggetti in disuso
allineati in un addio allegro.
Sei tu che parti, loro si allontanano
dalla tua ombra che unisce le sagome:
confondi il sangue con l’olio
dell’ingranaggio il cuore fermo
sui minuti con l’orologio
l’odore delle calze e i piedi che le svuotano –
vizi di forma smessi con i vestiti
le inadempienze scordate nella ressa
degli strumenti alla fine del gioco
allineati per salutare un altro
con la stessa sciatteria delle persone
e con l’aria smarrita delle cose.

(Inedito)

Canio Mancuso, Anniversario

Tutto il provvisorio
messo tra parentesi
(il resto del rancore
insieme alla tenerezza)
osserva il marito
che si fa la barba
passando il rasoio
piano sullo specchio
per non farsi male.
Aggiorna il promemoria:
proteggere gli uomini
e i cani dalla fame
avvolgere in una benda
il taglio nel costato
tenere lontani
dall’ombra delle camelie
la stagione in rivolta
il dio che annienta.
Sente nelle narici
il fiato di chi le dorme
accanto l’ultima notte.
Dal covo in cui resiste
il fuoco e non si spegne
neanche al soffio del phon
sui bigodini, sente
il marito che esercita
il mestiere di uomo
il prepuzio che si apre
dentro le sue cosce.
Nel luogo in cui si ostina
la bugia dell’essere
si arrende un’altra volta
alle carezze vuote
ascolta le parole
scritte con le dita
lo scrocchio del sale
sotto la pantofola.

(Inedito)

Canio Mancuso, Il riciclo secondo lo spazzino

I testi sono chiari:
nello stesso inventario
l’anima e il congegno
l’organismo e il meccanismo
che si arresta le labbra
e il boccaglio il mantice
e il soffio tra i denti –
gli oggetti in disuso
allineati in un addio allegro.
Sei tu che parti loro si allontanano
dalla tua ombra che unisce le sagome:
confondi il sangue con l’olio
dell’ingranaggio il cuore fermo
sui minuti con l’orologio
l’odore delle calze e i piedi che le svuotano
vizi di forma smessi con i vestiti
le inadempienze scordate nella ressa
degli strumenti alla fine del gioco
allineati per salutare un altro
con lo stessa sciatteria delle persone
e con l’aria smarrita delle cose.

 

(Inedito)

Canio Mancuso, Scienza degli addii

La luce dell’inverno
che nell’androne
cancella i nostri passi
annebbia la moviola
e non chiede elemosine
di carezze e abbandoni.
Cerchiamo riparo nella sua occhiata
scambiamo frasi che rintoccano
a vuoto: a domani a presto a mai.
Se avesse il senso della realtà, pensi.
Se avesse i denti un po’ meno larghi, penso.
È facile nella foschia confondere
l’aldilà con il nostro primo incontro,
il ricordo si sbriciola
senza un lamento.
Ciò che a volte siamo stati,
ciò che a volte abbiamo amato
ci chiama indietro e si allontana
senza fare rumore. Per questo
rigiro nella tasca
rotta della memoria
le parole dimenticabili
che dicevamo allora.

 

(Da Fiammiferi, Salento Books – Besa Editrice 2016)

Canio Mancuso, Pirra

Ti aspettavo sotto il temporale.
Così raccolta nella sua gioia
venivi all’incrocio.
Certo chiedevi poco,
quello che si chiede
prima che il mondo
scompaia nel diluvio
ma non sapevi
quanto ti avremmo amata
io, tuo padre, Dio
la stagione appassita
se fossi stata bella.
Smetti di impazzire.
Non vedi come tutto lo fa intorno a noi?
I neon che sfrigolano dalle insegne
la frenesia degli orifiamma negli acquari
l’enfasi del mattino
il senso del dovere,
tutto questo non può toccarti.
Eri nuda nella tua adolescenza
perenne, sapevi che la castità
non è un prět-à-porter
bisogna pure regalarla a qualcuno
(dico la nudità: la castità
non ti aveva mai molestata).
Smetti di gridare,
lascialo fare ai quadri e ai libri
che non ti piacciono.
Avrai lo stesso qualcosa da odiare.
Conservalo per l’inverno.
So perché mi porti primizie:
ciò che giustifica ogni tuo gesto
è lo sguardo della Vergine
sul tuo capezzale
sul tuo sonno, sul sudore
condiviso dalla fede e dall’inguine.
Non conosci la gratuità
mi hai detto una volta,
ma non c’è gratuità nella devozione
non c’era nelle rughe
che stringevi nel pugno
né in quel po’ di amore che annusavi,
la tua povera questua di piccione.
Il temporale non ti spaventa
se lo attraversi assorta nella sera,
le primizie che volevi regalarmi
si raffreddano tra le mani
sono biglie di vetro
eppure continui a credere
che ne nasceranno uomini.

 

(Da Fiammiferi, Besa Editrice 2016)