Andrea Lorenzoni, è l’ombra della donna trasparente

è l’ombra della donna trasparente
che lo rende così, poco animale
poco animato, senza una passione
produce cose per essere amato
è un amore incostante, lo spaventa
che il calore più intimo è migliore
ma non perfetto come si vorrebbe
come si prefigura indispensabile
per non vedere i resti dell’impronta
il passato che avanza sopra il petto

(Da L’esploratore, Transeuropa 2021)

Pierpaolo Lazzaro, Lo scavo della primavera guardinga

Nel profondo: lì dove tutto prende il sapore
della conoscenza di carta fresca.
L’acuto dettaglio del cinguettio del mattino
è la risposta silenziosa al mio scavo.

Come sempre è tutto un respirare
in discesa, mentre parole male ossigenate
potrebbero bloccare la mia primordiale apnea
verso le squadrate fondamenta delle cose.

Il verso, però, affonda, immobile, nella sabbia
bianca che mi separa dalla fine di questa
lirica scoperta di raggi aggrappati.
È una primavera guardinga e desidera farsi luce.

(Inedito)

Domenico Cipriano, trema la terra

trema la terra, le vene hanno sangue che geme e ti riempie. è un fiotto la terra che lotta, sussulta, avviluppa. confonde la terra che affonda, ti rende sua onda, presente a ogni lato soffoca il fiato, ti afferra, collutta, si sbatte, si spacca, ti vuole e combatti, chiede il contatto, ti attacca, ti abbatte. è fuoco la terra del dopo risucchia di poco le crepe: la terra che trema riempie memoria. ti stana, si affrange, ti strema, è padrona.

(Da La grazia dei frammenti, Ladolfi 2020)

Valentina Casadei, Quando nelle vene dell’inverno

Quando nelle vene dell’inverno
l’anima si tiene ben dritta
e non cede al precipizio
il crocevia dei geli
rende ai fantasmi una dignità mortale
di strati invisibili
sorti da fondali scoloriti
e nelle piroette di fumo
che fuoriesce dal camino
Scivolare

(Inedito)

Elisa Des Dorides, Il deserto

S’è sparso, sembra,
dalle grondaie alla sera,
un senso di polvere e dinamite
come licenza di follia
che confina e chiude.
E tutti hanno preso a ritirarsi in casa
come i panni dopo il lavaggio sbagliato
come la marea dopo la luna.
Solo il contadino s’attarda in strada
col suo trattore, astronave di terra
in mezzo al deserto.

(Inedito)

Stefania Di Lino, avevi lo sguardo stupito

avevi lo sguardo stupito / di chi ruba i giorni alla vita / livido eri nel sangue troppo fluido uscito dall’ago / sparso a macchie sotto la pelle / inciampavi sui tuoi piedi / e cadevi con un tonfo d’animale sul pavimento / rimanevi tramortito / atterrito da chissà quale visione / o tormento,
[lungo ormai è l’elenco / delle assenze presenze che aleggiano nell’aria / muovono le tende / sei fumo alto ormai / mescolato a spore / di questo siamo fatti noi / dall’innocenza nati: / siamo i figli dello stesso vento],

(Da Il corpo del padre, Edizioni Progetto Cultura 2021)

Davide Galipò, Pleistocene

Aveva qualcosa in cui
sperare guardando di lato
il primate sorride cantando
le gesta del cielo e del fuoco.
Nuvola dolce è il sereno
contadino che spacca la legna
incurante del rumore di fondo
del significante fuori sincrono.
La nuova carne è nel registratore
congela l’istante come certe fotografie
ed ecco le proteste dei vecchi paesaggisti
“il linguaggio è mio e lo gestisco io.”
Ma la parola non è mai conservazione:
di solito nasce per avere una chance
tra il machete ed il piombo;
non muore con te – ti sopravvive
la parola – che oscuro presagio –
può fare a meno del corpo:
basta trovare un altro organismo
ospitante. La parola è endemica.

(Inedito)

Matteo Persico, Che a ventisei, discutere di previdenza

Che a ventisei, discutere di previdenza
complementare e fondi pensione
ci sembra la morte stia già lì, rapace
dietro l’angolo, pronta a rapirci. O magari
è l’ombra dell’illimitato possibile
che sopravvaluta il ciclo di vita, un retaggio
degli studi umanistici: non ama fermarsi
alle polverose logiche di risparmio. Invece,
dovrei sbloccarmi rispetto ai valori aggiunti
e smettere di ancorarmi al non-si-addice;
che davanti ad un Caffè Mauro – assunto
alle spalle di un’alba usa e getta – di cosa
dovrei mai parlare? Calcio e pensione:
cardo e decumano, in logiche ferree.

(Inedito)

Silvia Molesini, Al nostro zoo

al nostro zoo oggi ghepardo ghepardo dove stai andando.
Torna alla tua zona ghepardo ascià torna là altro cespuglio
di fiori odori dell’erba verde di cattura sopra vivenza
mangia questo carne poi invento un canto che calmi
la tua ricerca di emozioni semplici, velocissimo gattero
che vai più forte delle auto in superstrada affi-peschiera
se uscivi non mangiavi nessuno, vero, stavi lì certo perso
a chiederti cos’è un recinto della pioggia in prima vera

(Da Dentro il tuo occhio nero dormiamo, Arcipelago Itaca 2021)

Enrico Barbieri, Ero nel nervo spinale del bosco

Ero nel nervo spinale del bosco
e questo era tutto.
Ero un atleta sai? Dice una
delle voci in colpa, dice
ero come te ma più di te
e salivo il Ticino fino al ponte
di barche a Bereguardo, sotto
pneumatici e case galleggianti.
Di te so, cantavo Old Man River
e in fondo al perno dei remi
ho il ricordo dei pesci morti.
E tu, ragazzo, mi seguivi per fare
un piacere ad un uomo ubriaco
sul lungofiume, scheletro mio.
Tu altrove hai tentato di vivere
e sempre fallito, reso abile
ad essere odiato e così noi
dello stesso sangue potremmo
cantare Old Man River, coetaneo
astemio del mio legno scemo!
Affonda i denti del remo
e saliamo passato il ponte
della ferrovia: ecco il Me Kong!
Avevi trovato un cane morto
sui sabbioni tra le zanzare
e non ascoltavo gli aironi
delle tue passioni. E fai questo,
e fai quello! Resterai con un
piatto di pasta e del vino,
perfetta previsione del sangue.
Quant’è che siamo uguali?
E le furie sono sabbie auree
e anche tu, tu sei posseduto,
ossessionato dai capelli verdi
che navigano sotto l’acqua,
ossessionato dalla corrente.

(Da Meno di una pietra di calcare, Delta 3 Edizioni 2021)