Fratello, tu sei mio fratello: ogni tanto
tra fratelli capita la guerra, e questo
fa dolore. Una guerra non di armi
ma di parole e parole, infinite
elucubrazioni. Ma la parola viva
genera azioni e non solo il nominare –
proprio come il Tao che ami di cui dice
Lao-Tse: il Tao di cui si può parlare non
è l’eterno Tao –. Qualche settimana
fa ne ho imparata un’altra: Timshel.
Questa è la parola che dice Max
amico e attore in “La valle dell’Eden”
dove interpreta il ruolo del cinese
e mi fa sorridere raccontarlo ora
a te, da poco ritornato dalla
Cina che ami, la Cina con le sue
contraddizioni: i templi taoisti su
montagne che quasi toccano il cielo,
i grattacieli modernisti, la
rivoluzione rossa di ieri, quella
degli ombrelli di oggi, la repressione:
tutto nel medesimo posto come
fossero posti diversi, invece è uno.
Come noi: diversi ogni momento
ma sempre noi, e per fortuna: Timshel!
Così ogni tanto ripete Max, amico
attore, fratello di una famiglia
più grande, quella del teatro del mondo
dove si vive e si muore. Timshel:
tu puoi… possiamo scegliere.
Non è una parola del taoismo a te
caro e nemmeno del buddismo a cui
mi sono avvicinato, è dell’antico
testamento da cui per tanto mi
ero allontanato e ora lo reincontro,
guarda un po’, sulle scene di un teatro.
È poi anche la parola del padre e
della madre che ci hanno generato.
Ma è anche tua è anche mia: una parola
senza confini senza razze senza
muri se non quelli che scegliamo
– lo sappiamo o non lo sappiamo poco
conta – di costruirci da noi stessi,
si chiamino essi taoismi buddismi
cristianesimi ateismi… gli “ismi”
non portano da nessuna parte, sono
vicoli ciechi, parola che si ferma
alla parola e non genera azione:
muore.
Gli “ismi” sono muri da
abbattere – dopo una Berlino
ce n’è sempre un’altra – se vogliamo
arrivare a noi e alla nostra pelle
e carne, al pensiero che suona: Timshel,
possiamo scegliere.
È una parola
– non lo sapevo prima d’ora, prima
di parlarti in questa lingua-musica
un po’ storta un po’ contorta: che ci
vuoi fare, è l’unica in cui in me
sono collegati bocca e cuore – è
una parola, dicevo, che viene
forse dal mare: invento ma così
mi piace pensare. Lo stesso mare
dove nostra madre ci ha tenuti
e ci ha “imparati” a nuotare. La stessa
acqua in cui a nostro padre piaceva
stare e stare ore a mollo, fermo
a pensare: nuotavano i pensieri
al posto suo, i suoi pesci-parole,
tracciando poi la loro forma viva
sui fogli di poesia che ci ha lasciato.
La stessa acqua, dolce salata o col
cloro, come quella della piscina
davanti a cui ora mi trovo, parlandoti
in musica prima di entrare.
(Da Oggi ti sono passato vicino, Ensemble 2020)